25 aprile 2017


di Barbara Benedettelli - Centoventi donne. Centoventi uomini. Sono le vittime di omicidi in famiglia, in coppia, tra amici, vicini di casa, colleghi di lavoro. Tante, troppe. Donne e uomini italiani uccisi in egual misura. All'interno delle Relazioni interpersonali significative (Ris), dove dovrebbero esserci amore, affetto, protezione e solidarietà, si muore di morte violenta più che in ambito criminale. 

Secondo gli ultimi dati del Viminale nell'Italia del 2017 sono state uccise volontariamente 355 persone: di queste, ben 236 nelle Ris.
Le donne sono 120, gli uomini 116 più 4 ammazzati all'estero dalle loro partner che non avevano accettato la fine della relazione, o per soldi.

Sono i drammatici dati che emergono dall'indagine «Violenza domestica e di prossimità: i numeri oltre il genere nel 2017», realizzata attraverso la ricerca dei fatti sulle testate web locali e nazionali.
In occasione della stesura del pamphlet Il maschicidio silenzioso (Collana Fuori dal Coro, Il Giornale), e di 50 Sfumature di violenza (Cairo), mi sono posta semplici domande: perché, nonostante tutto quello che si fa per contrastare la violenza di genere, le donne muoiono in media nello stesso numero? Perché se alla base del fenomeno c'è una relazione, lo si guarda da un solo lato e con uno schema fisso e semplicistico che non tiene conto della complessità e della natura di ciò che si osserva? È nata così l'indagine di cui pubblichiamo parte dello sconcertante risultato.
La raccolta dei dati, poi divisi con criteri in grado di dare a ogni omicidio la corretta collocazione, si è avvalsa dello stesso gioco di prestigio che i teorici del femminicidio fanno nel rilevare le vittime femminili: non tener conto del fondamentale rapporto vittima/carnefice e del movente, fondamentali, invece, per determinare le cause e intraprendere le giuste azioni preventive. E se facciamo lo stesso esercizio mistificatorio e la stessa deviazione culturale, potremmo dire che:
nel 2017, escludendo i delitti in ambito criminale, i «maschicidi» sono stati più dei «femminicidi»: 133 contro 128.
Dati che emergono dai fatti e i fatti, per dirla con Hannah Arendt, sono ostinati. Ma si possono davvero chiamare così?

Il numero emerge dalla somma tra gli omicidi avvenuti nelle Ris e quelli il cui autore è uno sconosciuto che ha ucciso persone innocenti: è la stessa somma fatta da chi sostiene a spada tratta il femminicidio, e che, per esempio, conta anche le donne massacrate in casa o in strada da chi voleva rapinarle. Ma non sono state uccise in quanto donne, semmai in quanto vulnerabili.
In questo ambito muoiono soprattutto anziani e ragazzi, e in particolare sono i maschi a essere uccisi in modo sproporzionato: 17, contro 8 donne, nel 2017.
Sproporzione che rimane anche negli omicidi di prossimità, quelli tra vicini di casa, conoscenti, amici, colleghi: le vittime maschili qui sono 39, 14 quelle femminili.
La parità si raggiunge dove c'è un legame di sangue: 40 e 40.
Però solo l'ingiusta morte delle donne suscita scandalo, orrore, impegno civile e politico. Per gli uomini assassinati all'interno delle stesse relazioni e per gli stessi motivi, niente pietas né phatos, niente liste tragiche con nomi e cognomi. Li abbiamo contati noi, per farli contare. Lo chiede la Convenzione di Istanbul, che riconosce anche le vittime maschili.
Ottanta persone massacrate in famiglia: tra i carnefici anche 15 donne, che hanno ucciso più femmine (8) che maschi (7). Di queste, 8 sono madri (due suicidate), contro 3 padri (tutti suicidati); questi undici assassini hanno ucciso 16 minori: 8 maschi e 8 femmine, 3 delle quali, più un bambino, morti per mano di un solo papà.
La moglie che maltrattava il suo compagno e i quattro figli era in cura, lui doveva occuparsi di loro e aveva smesso di lavorare, aveva problemi economici ed è entrato in una devastante depressione. Dov'erano le istituzioni? Proprio qui c'è un'inquietante parità di genere per le vittime e un'inquietante disparità: le madri uccidono di più, e più dei padri sanno sopravvivere al senso di colpa e all'orrore che hanno commesso.

Anche in ambito cosiddetto passionale le donne, quando ammazzano o sono lasciate, difficilmente si tolgono la vita. Gli omicidi-suicidi in ambito familiare e di coppia sono 30: 28 uomini e 2 donne; i suicidi noti, dove la causa è legata alla fine di una relazione, sono 39: 32 uomini, almeno 8 dei quali disperati per il distacco forzato dai figli, e 7 donne, tra cui due bambine di 12 e 14 anni che soffrivano la separazione dei genitori.
Ancora in ambito cosiddetto passionale, su 66 omicidi con vittime femminili, quelli che tecnicamente si potrebbero definire femicidi sono 42 (esclusi 4 casi non risolti), di cui 14 commessi da stranieri provenienti soprattutto dai Paesi dell'Est e dal Nordafrica. Gli altri 20, in cui il movente non ha a che fare col genere, sono coniunxcidi (da coniunx= coniuge), neologismo adottato nell'indagine che vale sia per gli uomini che per le donne a differenza di uxoricidio (da uxor=moglie).
Gli italiani che hanno perso la vita per mano di una donna che avrebbe dovuto amarli sono 19.

Le assassine hanno agito tutte per difesa o perché maltrattate come retorica femminista comanda? No. Lo hanno sostenuto in 6, così come hanno fatto 5 uomini, in linea con i risultati di una meta-analisi che prende in considerazione le indagini fatte in diversi paesi: la media di questo movente varia in base alla nazionalità dal 5% al 35% quando a colpire sono le donne e dallo 0 al 20% quando sono gli uomini. In ambito omosessuale le vittime sono 2, mentre sono 20 (tra cui 2 minorenni) gli uomini massacrati dai rivali o dagli ex delle loro compagne: maschicidi che hanno a che fare con il senso di possesso e l'onore, dunque anche, ma non solo, con la cultura patriarcale. E anche qui gli autori stranieri sono tanti (12).
Insomma, siamo di fronte a un'enorme costellazione d'orrore e di disperazione, che deve essere colta nel suo tremendo e allarmante insieme. In totale i morti sono 309 se contiamo anche i suicidi: 129 femmine e 180 maschi.

Non riconoscere la psicopatologia, l'isolamento di coppie e persone sole di fronte alle difficoltà e ai drammi della vita, valutare solo le ragioni antropologiche e culturali, concentrarsi solo sulle vittime senza mai guardare, con rispetto, se hanno qualche responsabilità, tutto questo non permette di attuare azioni capaci di impedire scelte folli, che non vanno mai giustificate, ma devono essere studiate e comprese per quello che sono. Senza mistificazioni inique, né teoremi ideologici politicamente e scientificamente scorretti.






Sono circa 3,8 milioni gli uomini in Italia che hanno subito abusi per mano femminile. Tra loro ogni anno più di cento telefonano ai centri anti-violenza per denunciare casi di stalking o reati sessuali.
E per i giovani il dato è allarmante: nel 2014 gli abusi hanno riguardato il 39% dei ragazzi rispetto al 35% delle coetanee italiane.
Questa la radiografia che emerge da un'analisi condotta dall'Adnkronos basata sui principali studi di settore.

Numeri che accendono i riflettori su un fenomeno ''sommerso e sottovalutato'' come denuncia Pasquale Giuseppe Macrì, docente dell’Università di Arezzo che ha realizzato il primo ed unico studio sul tema nel 2012. L'esperto calcola che i 4 milioni di uomini abusati rappresentino il 18,7% del totale della popolazione maschile italiana tra i 18 e i 70 anni. Come a dire che due maschi su dieci nel nostro Paese subiscono molestie, ma pochi lo denunciano.
La nostra ricerca non ha valore antitetico rispetto agli studi sul femminicidio - spiega Macrì all'AdnKronos - ma serve per valutare in modo completo le dinamiche sesso correlate legate alla violenza. Parlando di violenza sugli uomini c'è una mancanza di informazione e di cultura. Ci sono dei blocchi: l'imput culturale di non rappresentarsi l'uomo come vittima è forte. Ecco spiegato perché in molti casi l'uomo tace.
In altre parole la maggioranza delle persone sembra non concepire l’uomo come vittima e tanto meno crede possa subire una violenza sessuale. Un pensiero che è stato confutato da diversi studi, concordi nel dire che per un uomo rispondere sessualmente alle molestie da parte di una donna non significa dare consenso all'atto. L'erezione, evidenziano diversi ricercatori, può verificarsi in una varietà di stati emotivi tra cui la rabbia e la paura. Il pregiudizio è però diffuso tanto da rendere quasi impossibile per gli uomini denunciare gli abusi.

Gaia Mignone, sociologa con specializzazione in criminologia, da tempo opera nel centro anti-violenza Ankyra, e spiega che il primo scoglio da affrontare è legato agli stereotipi.
Riceviamo tra le 80 e le 100 telefonate l’anno da tutta Italia - racconta all’AdnKronos - in genere si tratta di uomini vittime di violenza domestica e stalking'. La difficoltà maggiore che affrontano è la vergogna nell'ammettere di subire abusi da parte di una donna, per un uomo è squalificante secondo la mentalità comune che c’è oggi, e così fanno fatica a denunciare. L'atto di sedersi in Questura di fronte a un carabiniere o a un poliziotto è complesso, specialmente quando si parla di violenza sessuale.
Su questo tema Stiritup, progetto europeo che tratta la violenza nelle coppie giovani, nel 2014 si è concentrato su cinque Paesi europei tra cui l’Italia. Il risultato è che il numero di vittime maschili di molestie supera quello femminile.
I giovani uomini sembrano una categoria a rischio anche secondo la rivista dell'American psychological association che parla di 4 uomini su 10 che tra scuola superiore e università sarebbero stati costretti ad avere rapporti non consensuali. Nel 31% dei casi la coercizione sarebbe stata verbale, nel 18% fisica e nel 7% dei casi attraverso la somministrazione di droghe. Il 95% degli intervistati ha spiegato che a mettere in atto le violenze o le molestie sarebbero state delle donne.
Ma cosa può portare una donna a diventare aggressiva?
Nella maggior parte dei casi - spiega Mignone - abbiamo riscontrato una familiarità della donna con la violenza. Le persone che diventano violente hanno spesso un passato di violenza sia fisica che assistita. In genere la violenza psicologica è il primo gradino da cui poi si passa a quella fisica.
Per gli uomini che subiscono abusi sembra poi particolarmente difficile uscire dalla relazione violenta, sia per una questione di dipendenza affettiva sia perché spesso ci sono figli e temono di perderli. A riguardo una ricerca statunitense del 2007 riporta che la minaccia di 'portarsi via i bambini' è stata usata nel 67,3% dei casi di maltrattamento contro i partner.
Ankyra che ha sede a Milano dà un quadro preciso anche della realtà locale.
Su capoluogo e provincia abbiamo accolto, seguito e monitorato trenta uomini con colloqui vis a vis - aggiunge la dottoressa - possiamo affermare che tutti si trovano ancora all’interno della loro relazione. Noi forniamo assistenza legale e psicologica ma cerchiamo anche di dare loro il tempo di maturare una decisione rispetto alla loro condizione.
Secondo i dati della Questura di Milano, nel 2013 sono state 1.498 i maltrattamenti in famiglia per mano femminile, così come sono state 975 le denunce per stalking avanzate da uomini nei confronti di donne. Tra i comportamenti più frequenti le telefonate, l'invio di mail e sms incessanti, la ricerca insistente di colloqui e il danneggiamento di beni.
Il fenomeno della violenza da femminile a maschile resta però poco conosciuto, tanto che denunce e richieste d’aiuto sono oggi l’eccezione. Se le donne hanno diverse strutture a cui rivolgersi in caso di abusi per gli uomini in tutto il Paese sono solo due.
Se un medico dovesse non accogliere un malato che ha una patologia rara e poco conosciuta, non farebbe il suo dovere; pertanto facendo una sorta di parallelismo, un Paese civile dovrebbe aiutare tutte le persone che vivono un disagio, a prescindere dall'appartenenza di genere o dalle quantità, conclude la dottoressa Mignone.


Lo raccontano i fatti di cronaca e lo certificano le ricerche statistiche: la violenza all’interno della coppia è reciproca. Eppure – dai media alla politica fino alla vulgata comune – si parla solo di femminicidio.
Barbara Benedettelli sposta la lente di ingrandimento sul lato oscuro e tabù dell’amore malato e violento, ovvero quello delle donne che odiano gli uomini. Un inquietante inchiesta tra decine di casi: omicidi, ricatti sulla pelle dei figli, gelosie, senso di possesso.
Perché le donne saranno pure statisticamente più spesso vittime, ma quando oltrepassano il limite agiscono esattamente come il peggiore bruto femminicida. 
Come si legge nel pamphlet, a
una lettura attenta dei dati del rapporto Eures sulle Caratteristiche e profili di rischio del femminicidio del 2015, rileva per il quinquennio 2010-2014 un totale di 923 vittime di omicidio avvenuto nel contesto familiare o di coppia: 578 femmine e 345 maschi. Posto che la rilevazione riguarda tutte le età e diversi ruoli - coniugi, fidanzati, ex, figli/e, parenti -, perché quei 345 esseri umani di sesso maschile non devono meritare attenzione?
Riconoscere anche l’uomo come vittima di una donna credo possa aprire la strada verso la vera radice del male che avvelena le relazioni affettive. E che possa anche scardinare un ordine millenario che ci ha divisi e ci ha impedito di essere ciò che siamo davvero, al di là di ogni «abito» sociale più o meno imposto. Se vogliamo prevenire prima ancora che curare e progredire verso una nuova era, partiamo allora da un dato di fatto non politically correct e molto contro corrente: anche gli uomini possono essere vittime delle donne che dicono di amarli.
[...] Se la parola femminicidio è entrata ormai a far parte del lessico comune per descrivere un fenomeno che riguarda le donne, dobbiamo, per onestà intellettuale e senso della realtà, coniare anche un termine simile per descrivere il fenomeno contrario, ma speculare e interconnesso, che riguarda gli uomini. La visione unilaterale e unidimensionale di un insieme non è mai risolutiva. Può anzi, anche a causa di un’estensione smisurata di un lato soltanto, deformare l’intera realtà. Aggravandola.



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