18 novembre 2012

Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 2012 

Pasquale Giuseppe Macrì*, Yasmin Abo Loha, Giorgio Gallino, Santiago Gascò, Claudio Manzari, Vincenzo Mastriani, Fabio Nestola, Sara Pezzuolo, Giacomo Rotoli

Riassunto
La violenza di genere costituisce una tipologia di reato in costante espansione e di continuo interesse da parte della comunità scientifica. Il fenomeno nella sua globalità è complesso da analizzare in quanto gli autori di reato commettono gli episodi perlopiù entro le mura domestiche e ciò comporta, dato il legame spesso di natura intrafamiliare tra autore e vittima, il silenzio di quest’ultima che concorre ad accrescere il cosiddetto “numero oscuro”.
Da ciò derivano i limiti dell’analisi di un fenomeno per sua natura sommerso, del quale non è facile tracciare i contorni. Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi, a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza.
Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano tale comportamento deviante e che vengono proposte con continuità a livello istituzionale e mediatico da diversi decenni, sono solite prendere in considerazione solo l’eventualità che la vittima della violenza di genere sia donna e che l’autore di reato sia uomo. Tale informazione, distorta alla sua origine, passa tramite canali ufficiali (dai media alle campagne di prevenzione) determinando una conseguente sensibilizzazione unidirezionale che relega ad eccezioni - spesso non prese neppure in considerazione - le ipotesi che la violenza possa essere subita e/o agita da appartenenti ad entrambi i sessi.
L’indagine presentata in questo articolo è finalizzata a raccogliere elementi di valutazione ancora inesistenti nel nostro Paese, utili a verificare se esista, ed eventualmente in che misura, una realtà diversa da quella fondata esclusivamente su condizionamenti, luoghi comuni e pregiudizi.

Résumé
La violence de genre constitue l’un des crimes qui connaît une forte croissance et qui fait l’objet d’un intérêt certain pour la communauté scientifique. Le phénomène est complexe à analyser dans sa globalité car la plupart des auteurs commettent leurs crimes dans le foyer domestique. Étant donné le lien intrafamilial existant entre l’auteur et la victime, cette dernière reste dans le silence qui contribue à faire augmenter le « chiffre noir ». Par conséquent, l’analyse de ce phénomène, caché à cause de sa propre nature, montre ses limites.
Des campagnes de sensibilisation à l’adoption de mesures législatives pour la prévention et répression de la violence, une connaissance approfondie de ce phénomène dans sa globalité est toutefois primordial pour le développement des politiques et des services d’aide aux victimes.
Il faut souligner que les enquêtes et les recherches analysant ce comportement déviant et, depuis plusieurs décennies, proposées en permanence à des niveaux institutionnel et médiatique, ont tendance à considérer que la victime de la violence de genre ne peut être qu’une femme et que son auteur, un homme. Cette information, altérée dès le début, passe à travers des chaînes officielles (des médias aux campagnes de prévention) provoquant une sensibilisation unidirectionnelle qui relègue à l’état d’exceptions – qui souvent ne sont même pas prises en considération – les hypothèses que la violence puisse être subie et/ou perpêtrée aussi bien par les hommes que par les femmes.
L’enquête présentée dans cet article a pour objectif de collecter des éléments d’évaluation encore inexistants en Italie.
Ces données peuvent être utilisées pour vérifier s’il existe une réalité différente de celle qui n’est basée que sur les lieux communs et sur les préjudices et quelle serait sa dimension.

Abstract
Gender-based violence is a constantly increasing crime and continuously attracting a lot of interest in the scientific community. This is a complex phenomenon to analyse as a whole because perpetrators usually commit the acts of violence at home. For this reason, and also due to the intimate relationship between the author and the victim, this latter remains silent, so the dark number increases. Consequently, the analysis of this phenomenon, hidden just because of its nature, has its limits.
A deep knowledge of this phenomenon as a whole, however, is important for the development of policies and services, for example sensibilisation campaigns and countermeasures to prevent and combat violence.
It is important to point out that surveys and researches studying this deviant behaviour, and continuously proposed at an institutional level and disseminated by mass media, usually consider that the victim of gender-based violence is a woman and the perpetrator a man. This distorted information is transmitted through official channels (for example, mass media and sensibilisation campaigns) producing a consequent unidirectional sensibilisation which relegates as exceptions – often not taken into consideration – hypothesis that violence may be endured and/or committed by both sexes.
The purpose of the survey presented in this article is to collect some evaluation data that do not exist yet in our country, data that will be useful in order to verify if it exists in reality, and if yes what extension it has, different from the one based exclusively on common sense and prejudices.

*: Macrì P.G. - specialista in medicina legale e delle assicurazioni, Professore presso la scuola di specializzazione di Medicina Legale, Università di Siena; Coordinatore Scientifico Centro di Bioetica e Biodiritto Università di Siena. Direttore Primario Medico Legale A. U.S.L. 8 Arezzo.


Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile

Introduzione

Nonostante l’impegno costante dei media, delle istituzioni e di larga parte del privato sociale nel condannare la violenza, la stessa viene etichettata come violenza di genere, dimenticando l’assunto che la violenza è un costrutto ampio e complesso che non prevede distinzioni in ordine al sesso.
La “normalizzazione” pubblica della violenza femminile - messaggi pubblicitari, spettacoli televisivi, cinema, stampa, video web - crea assuefazione ed abbassa l’allarme sociale.
La scena di un uomo che schiaffeggia una donna in un reality non può essere accettata, non ha scusanti, suscita sdegno, scatena condanna pubblica, espulsione, biasimo collettivo di conduttori e spettatori.
Doverosamente, aggiungiamo.
A ruoli invertiti, tuttavia, la scena non suscita uguale sdegno ed uguali reazioni, viene minimizzata, diviene “normale”, perfino ironica: gli episodi di violenza diventano quindi proponibili, anche pubblicamente, quando ne sono vittime gli uomini.

L’agito violento non ha caratteristiche proprie, oggettive: sembra divenga biasimevole in funzione di chi faccia cosa.
Viene trasmesso il messaggio che la violenza femminile non esiste, e se esiste è “lieve”, non suscita allarme. In ogni caso è legittimata, normalizzata, positivizzata, sdoganata persino sui media.
Può una forma di violenza essere considerata politically correct, qualunque essa sia?

L’indagine è finalizzata a raccogliere elementi di valutazione ancora inesistenti nel nostro Paese, utili a verificare se esista, ed eventualmente in che misura, una realtà diversa da quella fondata esclusivamente su condizionamenti, luoghi comuni e pregiudizi.
Si tratta di un’indagine ufficiosa, ma rappresenta l’unica fonte in assenza di indagini ufficiali.

Premessa

La violenza di genere costituisce una tipologia di reato in costante espansione e di continuo interesse da parte della comunità scientifica.
Il fenomeno nella sua globalità è complesso da analizzare, in quanto vi è la tendenza degli autori di reato a contenere gli episodi perlopiù entro le mura domestiche e ciò comporta, dato il legame spesso di natura intrafamiliare fra autore e vittima, il silenzio di quest’ultima che concorre ad accrescere il cosiddetto “numero oscuro”1.
Da ciò derivano i limiti dell’analisi di un fenomeno per sua natura sommerso, del quale non è facile tracciare i contorni.
Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi, a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza.
Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano tale comportamento deviante e che vengono proposte con continuità a livello istituzionale e mediatico da diversi decenni, siano solite prendere in considerazione solo l’eventualità che la vittima della violenza di genere sia donna e che l’autore di reato sia uomo.
Tale informazione, distorta alla sua origine, passa tramite canali ufficiali (dai media alle campagne di prevenzione) determinando una conseguente sensibilizzazione unidirezionale che relega ad eccezioni - spesso non prese neppure in considerazione - le ipotesi che la violenza possa essere subita e/o agita da appartenenti ad entrambi i sessi.
A dimostrazione di ciò è opportuno rilevare che, in Italia, ad oggi, non esistono studi ufficiali a ruoli invertiti; vale a dire approfondimenti sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni dei propri mariti od ex mariti, partners ed ex partners 2.
L’esigenza di una documentazione più ampia, che comprenda ogni aspetto riconducibile alla violenza di genere - non solo, quindi, l’indagine sulle violenze agite ai danni della figura femminile - viene manifestata da studiosi di diverse discipline (antropologia, sociologia, criminologia, psicologia, giurisprudenza, pedagogia).
Chiunque - per motivi professionali, di studio o di ricerca - abbia necessità di analizzare la violenza nella coppia in maniera onnicomprensiva, può constatare come esista un’approfondita letteratura scientifica prodotta in diversi Paesi del mondo - dagli Stati Uniti all’India, dal Canada al Regno Unito - ma nulla di riferibile all’Italia3.
Una considerevole mole di dati emerge da indagini conoscitive, monitoraggi ed inchieste effettuate ad ogni latitudine, mentre in Italia rimane curiosamente inesplorato ogni tipo di violenza che non sia quella agita dall’uomo.
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1 Per numero oscuro s’intende il numero dei casi in cui si ipotizza che il fenomeno si sia verificato ma che non è possibile determinare statisticamente, perché non denunciato. Nei casi di violenza, le motivazioni che possono confluire nel numero oscuro sono quelle riconducibili al senso di vergogna, alla mancanza di alternative etc.;
2 La violenza femminile in generale, ed il female-stalking in particolare, sono oggetto di studio in diversi Paesi europei ed extraeuropei: solo in Italia non esiste alcuna indagine ufficiale che studi le vittime di genere maschile, come non esiste alcuna struttura di accoglienza pubblica che se ne occupi.
3 Si rimanda, a tale proposito, agli studi di Alvarez-Deca e all’importante opera della Dott.ssa Badinter che, nonostante sia dichiaratamente femminista, mette in evidenza i limiti delle ricerche condotte per lo studio dell’analisi della violenza sulle donne in Francia (abstract Nestola F. http://lindipendente.splinder.com/post/19780695/violenze-in-famiglia-quello-che-listat-non-dice).
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A dimostrazione dell’impegno del mondo accademico internazionale, per motivi di sintesi, riportiamo una selezione di contributi in tal senso1. Ciò che rileva è la continuità e la complessità delle ricerche effettuate a partire dagli anni ’70:

- Straus, Gelles e Steinmetz (1975) avvertirono la necessità di condurre la prima grande indagine sulla violenza domestica, pervenendo a risultati inattesi e del tutto incoerenti con le politiche sociali in atto in America in quel periodo. Essi riscontrarono che, in proporzioni molto simili, sia uomini che donne erano sia agenti che vittime di violenza;
- Carrado, Gorge, Loxam, Jones e Templar (1996), in uno studio effettuato in Gran Bretagna tramite la C.T.S. (Conflict Tactics Scale), hanno evidenziato come il 18% degli uomini ed il 13% delle donne, del campione preso in considerazione, aveva dichiarato di essere vittima di violenza fisica durante i loro rapporti eterosessuali. La percentuale vedeva una prevalenza di vittime maschili (11%) rispetto alle donne (5%) quando si prendevano in considerazione i rapporti in corso2;
- Vivian e Langehinrichsen-Roling (1996), analizzando 57 coppie reciprocamente aggressive attraverso il C.T.S., trovarono che non esistevano significative differenze nei racconti tra la gravità e la frequenza della vittimizzazione di mariti e mogli. Riguardo alle violenze verbali psicologiche, 32 mogli e 25 mariti dichiaravano di esserne vittime3;
- Vasquez e Falcone (1997), monitorizzando per un periodo di 11 mesi soggetti refertati presso il centro traumatologico dell’ospedale dell’Ohio, rilevano - su un campione di 1.400 pazienti presentanti traumi di varia natura – 37 soggetti che avevano subito violenza dal sesso opposto: 11,4% vittime maschili vs 6,9% di vittime femminili4;
- Caetano et al. (2002) hanno analizzato le relazioni di violenza domestica su un campione multietnico di 1.635 coppie, attraverso la Conflict Tactic Scale (CTS). Dall’analisi dei risultati hanno rilevato la presenza di violenza tra partners nella misura del 40% senza alcuna differenza tre le etnie prese in considerazione. Le donne, tuttavia, risultano maggiormente violente rispetto agli uomini in tutti e tre i campioni5 (ispanico - afroamericano – caucasico);
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1 La scelta dei contributi è stata effettuata secondo il criterio della continuità temporale degli studi provenienti dalle diverse nazioni. Per maggiori approfondimenti si rimanda alla bibliografia completa che consta di oltre 450 articoli selezionati;
2 Carrado M., George M. J., Loxam E., Jones L., Templar D. (1996), Aggression in British heterosexual relationships: a descriptive analisys, Aggressive Behavior, n° 22, pp. 401- 415;
3 Vivian, D., & Langhinrichsen-Rohling, J. (1996), Are bi-directionally violent couples mutually victimized? In L. K. Hamberger & C. Renzetti (Eds.) Domestic partner abuse (pp. 23-52). New York: Springer;
4 Vasquez, D., & Falcone, R. (1997), Cross gender violence, Annals of Emergency Medicine, 29 (3), 427-429;
5 Caetano R., Shafter J., Field C., Nelson S. M., Agreement on reports of intimate partner violence among white, black and Hispanic couples in the United States, Journal of interpersonal violence 2002, n°17, pp 1308 - 1322.
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- Ridley e Feldman (2003) esplorano la violenza domestica femminile nei confronti dei partners maschili, attraverso la compilazione del questionario Abisir Behavior Inventory. Su 153 volontarie che hanno completato l’intervista, i risultati rilevano che il 67,3% delle partecipanti aveva perpetrato almeno un comportamento violento nel corso dell’ultimo anno. I comportamenti maggiormente posti in essere riguardavano spinte ed immobilizzazioni (45,1%), percosse, schiaffi e morsi (41,2%)1;
- Williams e Frienze (2005) analizzando un campione di 3.519 coppie, rilevano che il 18,4 % di esse era coinvolto in una relazione con vari gradi di violenza reciproca; tuttavia la violenza di grado medio o grave veniva “iniziata” prevalentemente da soggetti femminili2;
- Shumacher e Leonard (2005), da una ricerca condotta per un periodo di tre anni su un campione di 634 coppie appena sposate (effettuato con il C.T.S. revisionato), riscontrano una prevalenza di aggressioni delle mogli nei confronti dei mariti, rispettivamente nelle percentuali del 48% (I anno), 45% (II anno) e 41% (III anno). Le aggressioni dei mariti nei confronti delle mogli sono rispettivamente del 37% (I anno), 38% (II anno) e 37% (III anno)3;
- O’Leary e Slep (2006), studiando 453 coppie coabitanti, con un figlio di età compresa fra 3 e 7 anni, dimostrano che le donne, più sovente degli uomini, commettono aggressioni di intensità media (23,8%) e grave (8,4%). Riguardo al fattore precipitante, gli autori sostengono che l’aggressione fisica delle donne è più probabile che susciti reazioni verbali nei loro partners. I ricercatori, pertanto, hanno concluso che i risultati suggerivano che le donne fossero le prime ad intensificare un conflitto e ad usare violenza fisica4;
- Swaroop e Dsouza (2007), su un campione di 1.650 mariti indiani intervistati – il campione era composto da uomini di età compresa tra i 15 ed i 49 anni – hanno riscontrato che, circa il 25,2% dei mariti intervistati erano stati vittime di violenza psicologica da parte della moglie5;
- Javier Alvarez Deca (2009), dalla raccolta di 230 studi e ricerche provenienti da 24 Paesi, rileva che, nelle coppie eterosessuali, la violenza fisica viene esercitata in proporzioni simili da uomini e donne6;
- Anacleto, Njaine, Longo, Boing e Peres (2009) rilevano come la violenza agita dalle donne nei confronti dei propri partners maschili è percentualmente superiore sia per quanto concerne la violenza fisica (13,7% vs 9,8%), sia la violenza fisica grave (6,8% vs 5,6%) che psicologica (76,8% vs 71,5%)7;
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1 Ridley, C. A., & Feldman, C. M., (2003), Female domestic violence foward male partners: Exploring conflict responses and outcomes, Journal of Family Violence, 18 (3), 157-170;
2 Williams S.L.,& Frieze, I.H. (2005), Pattners of violent relationships, psychological distress, and marital satisfaction in a national sample of man and women, Sex Roles, 52 (11-12), 771-784;
3 Schumacher, J. A. & Leonard, K. E. (2005), Husbands' and wives' marital adjustment, verbal aggression, and physical aggression as longitudinal predictors of physical aggression in early marriage, Journal of Consulting and Clinical Psychology, 73, 28-37;
4 O'Leary, S. G., & Slep, A. M. S. (2006), Precipitants of Partner Aggression, Journal of Family Psychology, 20, 344-347;
5 Swaroop, S., & Dsouza, R. (September, 2007). “Violence a home truth for India husbands”. In http://mynation.net/study-report-indianhusbands.htm;
6 Alvarez-Deca J. (2009), “La violencia en la pareja: bidireccional y simmetrica”, ed. AEMA;
7 Anacleto A. J., Njaine K., Longo G. Z., Boing A.F., Peres K. G. (2009), Prevalencia e fatores associados a violencia entre parceiros intimos: um estudo de base populacional em Lages, Santa Catarina, Brasil 2007, Cadernos de Saude Publica, Rio de Janeiro, 25 (4): 800-808, abril 2009.
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- Fehringer, Hindin (2009), tramite uno studio longitudinale effettuato nella Filippine, riscontrano che la violenza all’interno della coppia, sposata o convivente, viene agita nel 55,8% da donne (delle quali il 27,7% aveva subito violenza in età adolescenziale) e 25,1% da uomini (dei quali il 30,5% aveva subito violenza in età adolescenziale)1;
­- Afifi, MacMillan, Cox, Asmundson, Stein e Sareen (2009), dimostrano dati convergenti tra lo studio effettuato nelle Filippine e la loro ricerca effettuata negli U.S.A., la quale evidenzia come il 20,3% degli uomini intervistati si dichiari vittima di violenza contro il 15,2% delle donne, su un totale di 5.692 individui presi in esame2;
- Capaldi, Shortt, Kim, Wilson, Crosby, Tucci (2009) - tramite uno studio longitudinale negli Stati Uniti della durata di 12 anni (1991 – 2002) - evidenziano come la violenza perpetrata da soggetti ambosessi non presenti differenze sostanziali né in merito alla frequenza, né in merito alla gravità3;
- Lawerence, Yoon, Langer, Ro (2009), tramite uno studio su 103 coppie coniugate, valutate 4 volte durante i primi 3 anni di matrimonio, hanno evidenziato come, per quanto riguarda la violenza fisica, il 44% dei mariti e il 52% delle mogli abbia avuto comportamenti aggressivi contro il coniuge4.
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1 Fehringer J. A., Hindin M. J. (2009), Like parent, like child: intergenerational transmission of partner violence in Cebu, the Philippines, Journal of Adolescent Healt, Vol 44, n°4, pp 363 – 371;
2 Afifi T. O., MacMillan H., Cox B. J., Asmundson G., Stein M. B., Sareen J. (2009), Mental healt correlates of intimate partners violence in marital relationships in a nationally representative sample of males and females, Journal of Interpersonal Violence, Vol. 24 n°8, pag. 1398 - 1417
3 Capaldi D. M., Shortt J. W., Kim H. K., Wilson J., Crosby L., Tucci F. (2009), Official incidents of domestic violence: types, injury, and associations with nonofficial couple aggression, Violence and Victims, Vol. 24, n°4, pp 502-519;
4 Lawrence E., Yoon J., Langer A., Ro E. (2009), Is psychological aggression as detrimental as physical aggression? The independent effects of psychological aggression on depression and anxiety symptoms, Violence and Victims, Vol. 24, n°1, pp 20 – 35 (16).
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In Italia, i dati più recenti in tema di violenza familiare e maltrattamenti sono stati pubblicati nel 2006 dall’I.S.T.A.T. con un contributo dal titolo “La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia, Anno 2006” : il soggetto vittima-protagonista è il genere femminile compreso nella fascia d’età 16–70 anni.
Tale ricerca è stata commissionata dal Ministero delle Pari Opportunità, ed è stata condotta tramite la somministrazione telefonica di un questionario1 ad un campione di 25.000 donne di età compresa fra 16 e 70 anni. Le domande si riferivano sia al momento dell’intervista, sia a periodi antecedenti, inclusi eventuali periodi di gestazione. Le aree d'indagine del questionario sono state: violenza fisica, violenza sessuale e violenza psicologica/economica.
Dalle proiezioni effettuate sulla popolazione femminile residente, emerge come risultato finale un totale di circa 7.000.000 di donne vittime, almeno una volta nel corso della vita, di violenza fisica o sessuale.
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1 Il questionario è stato elaborato in collaborazione con i Centri Antiviolenza Telefono Rosa (per maggiori dettagli si rimanda alle Note Metodologiche I.S.T.A.T.).
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Ipotesi e metodologia della ricerca

L’ipotesi dell’indagine conoscitiva sulla violenza subita dagli uomini è verificare se, in accordo con la letteratura scientifica internazionale, anche la popolazione maschile italiana possa essere vittima di violenza fisica-sessuale-psicologica da parte del partner o ex partner di genere femminile.
La ricerca è stata condotta utilizzando il modello di questionario proposto dall’I.S.T.A.T. nel 2006. Tale scelta metodologica nasce dalla validità di uno strumento messo a punto da un Ente che svolge ricerche per mandato istituzionale.
Per rendere somministrabile agli uomini un questionario concepito in origine per le donne si è reso indispensabile un leggero lavoro di adattamento: sono stati escluse alcune domande impossibili da proporre ad un target maschile (es. quelle relative alla violenza subita in gravidanza), sostituendole con altre riconducibili alla violenza psicologica eventualmente subita dall’uomo (es. quelle relative alla paternità o alle prestazioni sessuali).
Le domande relative alla paternità, inserite come elemento caratteristico del maschile, hanno suscitato un acceso dibattito preliminare fra gli stessi curatori del questionario. Analogo dibattito si è sviluppato in merito a molte delle domande sulla violenza psicologica, tra le quali, ad esempio, le critiche per l’aspetto fisico e/o l’abbigliamento, che potrebbero incontrare concrete difficoltà ad essere classificate come violenza. Al termine del dibattito ha prevalso l’identificazione col modello ISTAT, che prevedeva domande su abbigliamento, acconciatura, cucina, gestione della casa, etc..
Il questionario1 risulta essere così strutturato:
60 domande chiuse + 4 domande “violenza zero” + 4 domande aperte

7 tipologie di violenza fisica
1 con la quale si dichiara di non aver subito alcuna delle forme di violenza descritta
1 domanda aperta: possibilità di aggiungere dettagli sugli episodi, esiti, osservazioni personali

12 tipologie di violenza sessuale
1 con la quale si dichiara di non aver subito alcuna delle forme di violenza descritta
1 domanda aperta: possibilità di aggiungere dettagli sugli episodi, esiti, osservazioni personali

34 tipologie di violenza psicologica ed economica
1 con la quale si dichiara di non aver subito alcuna delle forme di violenza descritta
1 domanda aperta: possibilità di aggiungere dettagli sugli episodi, esiti, osservazioni personali

7 tipologie di atti persecutori
1 con la quale si dichiara di non aver subito alcuna delle forme di persecuzione descritta
1 domanda aperta: possibilità di aggiungere dettagli sugli episodi, esiti, osservazioni personali

A differenza del questionario I.S.T.A.T. del 2006, i questionari sono stati somministrati a soli soggetti maggiorenni: la fascia d’età presa in considerazione è quindi 18 – 70 anni.
L’analisi qualitativa dei dati prende in considerazione le seguenti variabili:
età - stato civile - eventuale prole - luogo di residenza - tipologia della violenza subita.
I questionari, in forma anonima, prevedevano la compilazione in versione cartacea o elettronica.
I questionari compilati via web sono stati raccolti ed archiviati tramite un software che impedisce l’invio multiplo dallo stesso ID, per ridurre la possibilità che un singolo soggetto potesse compilare più questionari.
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La raccolta di dati e dichiarazioni attraverso un campione spontaneo ha avuto come limite il problema della rappresentatività del campione stesso.
Infatti, mentre il lavoro dell’I.S.T.A.T. ha potuto usufruire di un considerevole budget per coprire l’acquisto delle utenze telefoniche di un campione rappresentativo, con relativa assunzione e formazione di 64 intervistatrici con contratto a progetto, oltre ai costi telefonici per decine di migliaia di chiamate telefoniche in tutta Italia1, gli autori della presente ricerca non hanno potuto gestire alcun budget.
Prima dello start-up é stato sollecitato il Ministro dell’epoca2, allo scopo di promuovere un’indagine conoscitiva sulle vittime maschili per colmare la lacuna italiana. Il Ministero Pari Opportunità non ha ritenuto opportuno rispondere.

Per l’analisi dei dati sono stata prese in considerazione le quattro differenti tipologie di violenze subite per cercare di comprenderne la rilevanza e, eventualmente dimostrata l’esistenza della fenomeno “vittime maschili di violenza”, tracciarne i contorni.
Come per qualsiasi rilevazione statistica - comprese quelle istituzionali - effettuata tramite dichiarazioni spontanee e non verificabili, anche questa ricerca rivela dei punti critici.
L’unica fonte di informazioni è costituita dalle dichiarazioni degli interessati, pertanto non è possibile effettuare alcuna verifica attraverso atti giudiziari, referti medici, registrazioni audio-video o altri documenti.
La fondatezza delle dichiarazioni non può pertanto essere testata, esattamente come accade per interviste telefoniche e sondaggi face-to-face.

Il campione che ha preso parte alla ricerca ha registrato un totale di 1.058 soggetti, così suddivisi in ordine alla residenza geografica: n. 411 nord (38,85%), 405 centro (38,28%) 228 sud e isole (21,55%), 11 residenza non dichiarata (1,03%) e 3 (0,29%) italiani residenti all’estero.
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1Vedi metodologia ISTAT – http://www.istat.it/it/archivio/34552
2 lettera raccomandata A/R – 12 giugno 2009
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Le fasce di età dei soggetti maschili che hanno preso parte alla ricerca sono state così suddivise:

La maggiore rappresentatività del campione è compresa nella fascia d’età 40-49, seguita dalla fascia d'età 30-39.

I soggetti che hanno partecipato alla ricerca hanno figli nell’83,2% dei casi, con i dettagli della rilevazione abbastanza prevedibili: la maggiore rappresentatività del campione è compresa nei soggetti che hanno tra uno e due figli
Tali categorie, da sole, accorpano oltre il 76% :



Lo stato civile maggiormente presente è quello dei separati (41,11%), seguito dai celibi (24,29%):


VIOLENZA FISICA

In merito alla prima tipologia di violenza esaminata si rilevano immediatamente quattro risposte date da oltre il 50% del campione, e quattro in percentuali significativamente minori.
Al di sopra del 50% si registra la minaccia di esercitare violenza (A1 - 63,1%).
In percentuale simile (A3 - 60,5%) la violenza fisica risulta essere stata effettivamente messa in atto con modalità tipicamente femminili, come graffi, morsi, capelli strappati.
Il lancio di oggetti si attesta poco oltre il 50% (A2 – 51,2%).
La voce relativa alle percosse - anche con modalità erroneamente considerate esclusive maschili (es. calci o pugni) - coinvolge oltre la metà del campione (A4 - 58,1%).
Molto inferiore risulta la percentuale (A5 - 8,4%) di chi dichiara che una donna abbia posto in essere un'aggressione alla propria incolumità personale attraverso agiti violenti che avrebbero potuto portare al decesso (soffocamento, avvelenamento, ustioni, etc.).
L’utilizzo di armi proprie ed improprie appare in circa un quarto delle violenze femminili (A6 – 23,5).
Nella voce “altre forme di violenza” (A7 - 15,7%) compaiono tentativi di folgorazione con la corrente elettrica, investimenti con l’auto, mani schiacciate nelle porte (in un caso nel cassetto), spinte dalle scale. Erano predisposti spazi facoltativi per descrivere modalità di violenza non previste nel questionario; non tutti hanno utilizzato tale opzione.
Un dato da considerare: tutti i compilatori hanno descritto almeno un tipo di violenza subita; la percentuale della domanda A8 è zero.

VIOLENZA SESSUALE
Affrontando l’argomento della sessualità, risulta evidente come la difficoltà maschile nel riconoscere di aver subito violenza sessuale sia sensibilmente maggiore rispetto alla percezione di subire violenza fisica o psicologica: nessun item sulla violenza sessuale registra risposte positive in percentuali superiori al 50%.
La percentuale maggiore (B1 - 48,7%) riguarda il rapporto intimo avviato ma poi interrotto dalla partner senza motivi comprensibili.
I compilatori, pur riconoscendo alla donna la libertà di interrompere il rapporto sessuale in qualsiasi momento, riferiscono di rimanerne mortificati, umiliati, depressi.
Nessun compilatore afferma di pretendere la continuazione di un rapporto non più desiderato dalla donna, o tantomeno di costringerla a portarlo a termine; i soggetti intervistati esprimono la libertà di non essere costretti a fingere indifferenza e/o negare la frustrazione che deriva dal rifiuto, nonché le conseguenze sul piano fisico ed emotivo.
La gamma di turbamenti riferiti va dal malessere fisico all’insonnia, dalla mortificazione nel sentirsi rifiutato al dubbio di non essere più desiderato; dal timore di non essere in grado di soddisfare la partner al dubbio che in precedenza la stessa abbia simulato un desiderio ed un piacere che non ha mai provato; dal dubbio del tradimento alla sensazione di inadeguatezza; dal timore per la stabilità della coppia al calo dell’autostima, etc..
Un’ampia gamma di conseguenze che non sempre possono essere risolte in autonomia, ma in alcuni casi - come riferito dai compilatori – hanno necessitato di cure specialistiche, sostegno ed analisi.

Le risposte relative a disprezzo/derisione (B2 - 30,5%) e paragoni irridenti (B3 - 20,1%) non sono facili da ammettere, in quanto particolarmente incisive sull’ego maschile. Pertanto, pur trattandosi di un questionario anonimo, non vi è certezza che le percentuali dichiarate corrispondano alle percentuali realmente presenti nel campione.
Degna di nota è la voce relativa agli uomini vittime di violenza sessuale mediante l’utilizzo della costrizione, attraverso la forza o la minaccia (B5 - 8,6%), e uomini forzati ad avere rapporti sessuali in forme a loro non gradite (es. rapporti sado-maso, rapporti nel periodo mestruale, etc.).
A tale proposito il 4,1% dei soggetti intervistati dichiara di essere stato forzato ad avere rapporti sessuali con altre persone, incluso sesso di gruppo o scambi di coppia.
Interessanti le note inserite negli spazi, previsti in ogni batteria di domande, per l’aggiunta facoltativa di ulteriori dettagli.
Tra le costrizioni sgradite figurano alcune richieste “estrose”, ma vissute con disagio, vergogna o turbamento da parte dei compilatori (la pretesa di accoppiamenti in luoghi aperti pur potendo disporre di un’abitazione, la presenza sul letto dei due gatti della partner, la richiesta da parte della moglie di solo sesso orale escludendo per 18 mesi la penetrazione), ed alcune richieste più “violente”, in merito alle quali non sembra opportuno scendere nei dettagli, ma che comunque comportano lesioni visibili, in alcuni casi permanenti, come piccole cicatrici ed ustioni.
Il 2,2% degli uomini ha dichiarato di non aver mai subito alcun tipo di violenza sessuale.
 

VIOLENZA PSICOLOGICA ED ECONOMICA

Dall’analisi dei dati emerge con chiarezza che, pur sotto molteplici aspetti, in generale si tratta del tipo di violenza più diffusamente subita dagli uomini.

Significativo notare come diverse forme di umiliazione utilizzino l’aspetto economico:
  • critiche a causa di un impiego poco remunerato (C3 - 50.8%)
  • denigrazioni a causa della vita modesta consentita alla partner (C5 - 50,2%)
  • paragoni irridenti con persone che hanno guadagni migliori (C6 - 38,2%)
  • rifiuto di partecipare economicamente alla gestione familiare (C7 - 48,2%)

La denigrazione, oltre all’aspetto economico, assume diverse altre sfaccettature:
  • umiliazioni, ridicolizzazioni ed offese in pubblico (C2 - 66,1%)
  • critiche ed offese ai parenti (C8 - 72,4%)
  • critiche per difetti fisici (C10 - 29,3%)
  • critiche per abbigliamento ed aspetto in generale (C11 - 49,1%)
  • critiche per la gestione della casa e dei figli (C12 - 61,4%)

Risulta essere particolarmente elevata, interessando oltre ¾ dei compilatori, la percentuale di donne che insultano, umiliano, provocano sofferenza con le parole (C14 – 75,4%).

Le varie forme di controllo previste nel questionario hanno registrato percentuali sensibilmente diverse tra loro:
  • impedimenti o limitazioni agli incontri con i figli o la famiglia d’origine (C15 - 68,8%)
  • impedimenti o limitazioni per attività esterne: sport, hobby, amicizie (C16 - 44,5%)
  • imposizioni in merito ad aspetto e comportamento in pubblico (C17 - 39,5%)
  • sincerità e fedeltà messe insistentemente in dubbio (C18 - 60,3%)
  • pedinamenti, controllo degli spostamenti (C19 - 36,7%)
  • controllo sul denaro speso, quanto e come (C20 - 32,9 )
  • atteggiamento ostile qualora non avesse l’ultima parola sulle scelte comuni (C9 - 68,2%)

Violenza psicologica tramite minacce “trasversali”: aggressione verso oggetti personali della vittima, persone care, animali domestici:
  • distruzione, danneggiamento di beni, minaccia o concretizzazione (C21 - 47.1%)
  • fare del male ai figli, minaccia o concretizzazione (C22 26,6%)
  • fare del male a persone care, minaccia o concretizzazione (C23 - 22,9%)
  • fare del male ad animali domestici, minaccia o concretizzazione (C23 - 8,1%)1
  • minaccia di suicidio o altri atti di autolesionismo (C24 - 32,4%)
Separazione e cessazione di convivenza, specialmente in presenza di prole, costituiscono un terreno particolarmente fertile per comportamenti che implicano una violenza psicologica:
  • minaccia di chiedere la separazione, togliere casa e risorse, ridurre in rovina (C26 - 68,4%)
  • minaccia di portare via i figli (C27 - 58,2%)
  • minaccia di ostacolare i contatti con i figli (C28 - 59,4%)
  • minaccia di impedire definitivamente ogni contatto con i figli (C29 - 43,8%)

La violenza psicologica di cui all’item C29 si estende all’ambito parentale paterno: la minaccia implica pertanto che i figli non potranno avere più alcun contatto non solo col padre, ma nemmeno con nonni, zii, cugini.
L’utilizzo strumentale dei figli come mezzo di rivalsa emerge in percentuali rilevanti, indifferentemente nelle coppie coniugate, conviventi o separate; prima, durante e dopo la separazione.
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1 Nota – mentre il 100% degli individui ha persone care (parenti o amici), e l’83,2% del campione ha dei figli, non è dato sapere quanti tra i compilatori abbiano o abbiano avuto in passato animali domestici. La percentuale relativa all’item C23 potrebbe pertanto non essere indicativa del tipo di violenza cui si riferisce.
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Un capitolo a parte riguarda le domande relative alla paternità.
Ferma restando l'esclusiva discrezionalità della donna in merito alla decisione di portare a termine una gravidanza, si chiede agli uomini se l’esclusione da tale decisione abbia ripercussioni negative sulla sfera emotiva maschile. Come può esserci chi vive tale esperienza con serena accettazione, può esserci anche chi ne rimane profondamente traumatizzato.
Senza mettere pertanto in discussione la libertà femminile di decidere in autonomia, la domanda è riferibile solo alla libertà maschile nel vivere l’esclusione con serenità oppure provarne dolore, frustrazione, mortificazione, perdita dell’autostima od altro.
La paternità imposta con l’inganno comprende perlopiù casi in cui la gravidanza non è frutto di un rapporto consolidato. La partner (114 risposte, in 21 casi la moglie o compagna stabile, in 93 casi una compagna occasionale)1 matura la decisione di procreare e ne tiene all’oscuro l’uomo.
Mette in atto strategie ingannevoli, mentendo sulla propra fertilità e/o sull’uso di anticoncezionali, per poi chiedergli di “assumersi le proprie responsabilità”.
Tale “assunzione di responsabilità”, quando è frutto di una scelta unilaterale imposta all’altro con l’inganno, risulta essere vissuta - e descritta nelle domande aperte - come una grave forma di violenza e prevaricazione; va detto che in alcuni casi la descrizione avviene anche attraverso toni particolarmente aspri, rabbiosi, offensivi.
L’attribuzione fraudolenta di paternità si riferisce ai casi in cui un uomo viene tardivamente a conoscenza, anche dopo anni, di non essere genitore naturale di un figlio che gli è stato fatto credere suo. Il tentativo di attribuzione si riferisce ai casi in cui l’inganno non si protrae nel tempo ma viene scoperto prima del parto o subito dopo.
Entrambe le domande non si riferiscono al “sospetto”, ma solo alla paternità fraudolenta documentata e certificata. Va detto che, in valori assoluti, tali eventi si sono verificati in 29 casi sugli oltre mille presi in esame.
  • interruzione della gravidanza contro il parere paterno (C30 - 9,6% )
  • paternità imposta con l’inganno (C31 - 10,7%)
  • attribuzione fraudolenta di paternità, o tentativo di attribuzione (C32 - 2,7%)

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1 Rispetto al valore assoluto 114 (9,6% del campione), la gravidanza fraudolenta viene addebitata nella percentuale del 18,4% ad un rapporto stabile e nella percentuale dell’81,6% ad un rapporto occasionale.
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Fenomeno emergente: l’utilizzo strumentale di false denunce ed accuse costruite.
Evento pressoché sconosciuto tra single e coniugati, nasce e si sviluppa all’interno di separazioni, divorzi o cessazioni di convivenza1. Compare in 512 casi (C33 - 48,4%)
La domanda che ha raccolto il maggior numero di risposte positive riguarda le provocazioni fisiche e verbali (C34 – 77,2%).
Il 2,1% dei compilatori ha dichiarato di non aver mai subito alcun tipo di violenza psicologica da parte di una donna.
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1 In tale analisi trovano conferma le dichiarazioni delle operatrici di Giustizia (Sostituti Procuratori, avvocati, CTU) che denunciano una percentuale che si aggira attorno all’80% di infondatezza delle accuse di violenza e maltrattamento costruite nelle separazioni - http://violenza-donne.blogspot.it/2012/06/le-operatrici-di-giustizia-svelano-le.html
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ATTI PERSECUTORI

Per ciò che riguarda la tipologia di violenza afferente agli atti persecutori, si rileva che il fenomeno, seppur presente, non assume la portata delle aree indagate in precedenza.
È interessante che il risultato più alto della griglia si riscontri nella dichiarazione di non aver mai subito atti persecutori (D8 – 34,8%).
Telefonate indesiderate, invio di mail ed sms, ricerca insistente di colloqui e danneggiamento di beni (sempre l’auto o lo scooter, tranne in 2 casi) sono le tipologie di stalking che superano il 30%.
La richiesta di appuntamenti, l’appostamento, il pedinamento e la minaccia sono compresi fra il 18,4% ed il 26,9%. 1
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1 Tali rilevazioni confermano sostanzialmente quanto rilevato dal Ministero degli Interni e dall’Osservatotio Nazionale Stalking (ONS – www.stalking.it), secondo i quali le vittime maschili di atti persecutori esistono, e si attestano attorno al 25% del totale.
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Per completezza d'informazione va detto che il contatore inserito sulla pagina web del questionario ha registrato circa 1.900 accessi, a fronte di 726 compilazioni.
Il cartaceo è stato distribuito in 1.000 copie, delle quali 332 restituite compilate.
Pertanto vi sono percentuali di uomini (61,7% per il questionario online, 63,1% per il cartaceo) che, pur avendo visionato i contenuti dell’indagine, non hanno ritenuto opportuno prendervi parte.
Non è dato sapere se abbiano visionato la pagina web solo per curiosità, se non abbiano partecipato all’indagine per riservatezza, per mancanza di tempo, per la difficoltà nel riconoscersi vittime, per non aver mai subito alcuna violenza, od altro ancora.

PROIEZIONI

Allo scopo di tracciare l’entità del fenomeno1, è utile effettuare la proiezione dei dati emersi dall’indagine conoscitiva sul totale della popolazione maschile oggetto dell’indagine stessa.
Anno 20112 - Italia
Totale popolazione residente: 60.626.442
Popolazione maschile, età 18-70: 20.717.815

Violenza fisica
Il 63,1% del campione dichiara di aver subito almeno un episodio di violenza fisica per mano di una donna nel corso della propria vita.
Proiezione sulla popolazione maschile della fascia d’età 18–70 anni: 5.031.000.
Ne deriva che oltre 5 milioni di uomini avrebbero subito almeno una violenza fisica per mano di una donna nel corso della vita.

Violenza sessuale
Il 48,7% del campione dichiara di aver subito almeno un episodio di violenza sessuale ad opera di una donna nel corso della propria vita.
Proiezione sulla popolazione maschile della fascia d’età 18–70 anni: 3.883.000.
Ne deriva che oltre 3,8 milioni di uomini avrebbero subito almeno una violenza sessuale ad opera di una donna nel corso della vita.

Violenza psicologica
Il 77,2% del campione dichiara di aver subito almeno un episodio di violenza psicologica ad opera di una donna nel corso della propria vita.
Proiezione sulla popolazione maschile della fascia d’età 18–70 anni: 6.155.000.
Ne deriva che oltre 6 milioni di uomini, il 29,7% del totale, avrebbero subito almeno una violenza psicologica ad opera di una donna nel corso della vita.

Atti persecutori
Il 31,9% del campione dichiara di aver subito almeno un atto persecutorio ad opera di una donna nel corso della propria vita.
Proiezione sulla popolazione maschile della fascia d’età 18–70 anni: 2.543.000.
Ne deriva che oltre 2,5 milioni di uomini, il 12,3% del totale, avrebbero subito almeno un atto persecutorio ad opera di una donna nel corso della vita.
NdA - per equilibrare il campione vengono calcolate medie pesate sugli insiemi della popolazione generale, che determinano le proporzioni delle varie categorie (celibe, coniugato, etc.) usando come pesi le frequenze proprie del campione, normalizzate al valore più alto (0,421), ed applicando il valore medio di casi di violenza dichiarata. In questo modo si è attribuito peso 1 alla categoria separati+divorziati, peso 0,577 alla categoria dei celibi, e così via a scalare per le altre categorie. Ciò corrisponde ad individuare nella popolazione generale un sottoinsieme massimale che contiene ancora le proporzioni del campione iniziale, calcolate comunque sulle popolazioni complessive.
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1 V. indagine ISTAT  – http://www.istat.it/it/archivio/34552
2 http://demo.istat.it/pop2011/index.html - dati sulla popolazione residente, estraibili per genere, età, ripartizione sul territorio, periodo di rilevazione.
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Analisi

Le proiezioni dei risultati sull’intera popolazione maschile risultano essere analoghe alle proiezioni ISTAT sul target femminile. Pur avendo utilizzato uno strumento di rilevazione simile, non sono sovrapponibili a causa della fascia d’età più ampia considerata dall’ISTAT, del diverso metodo di raccolta dati, della prevalenza femminile nel totale della popolazione residente.
Qualsiasi persona a prescindere dal sesso - quindi anche un soggetto di genere femminile - qualora non ritenga di aver subito violenza, è presumibile che rifiuti di investire del tempo in una intervista che la coinvolge poco o nulla.
Pertanto è verosimile che a qualunque indagine, anche telefonica, partecipi una larga prevalenza di persone interessate all’argomento dell’indagine stessa.
Il solo criterio ”motivazioni”, quindi, appare debole per giustificare le differenze.
La difficoltà ad emergere delle vittime maschili ed una diffusa resistenza a riconoscersi nello status di vittima, in particolar modo per mano di una donna, potrebbero essere altre concause dei dati sorprendenti emersi dalle proiezioni.
È già stato sottolineato nell’Introduzione, può servire ripeterlo: in totale assenza di dati ufficiali, l’indagine ufficiosa costituisce l’unica fonte attualmente disponibile in Italia.

Oggettiva difficoltà di reperimento del campione.
Al momento della consegna del questionario cartaceo i soggetti dimostravano la volontà di sottoporsi all’inchiesta ma, dopo la lettura delle prime domande, se ne discostavano fornendo scuse di vario tipo.
Tale ritrosia - per ragionamento deduttivo e per le dirette testimonianze di coloro che rifiutavano la compilazione del questionario, pur ammettendo l’interesse per lo studio in corso - potrebbe essere dovuta ad una difficoltà archetipica di riconoscersi nel ruolo di vittima.
I soggetti intervistati, anche qualora avessero riconosciuto e riferito dettagliatamente episodi di violenza subita (es. percosse, umiliazioni protratte nel tempo, etc.), fino a che si trattava di raccontarle verbalmente lo hanno fatto volentieri, ma al momento di metterlo per iscritto hanno preferito astenersi dal compilare il questionario.

La ritrosia è stata maggiormente rilevata per i soggetti ultraquarantenni. Questo dato potrebbe essere spiegato alla luce di una maggiore apertura dei giovani a riconoscersi come vittime, rispetto ad una personalità ed un ruolo socio-familiare proprio delle generazioni precedenti, che, per un sentimento di vergogna, potrebbero non voler mettere a repentaglio lo status sociale e familiare acquisito, qualunque esso sia.
Di contro, le generazioni più giovani - soggetti universitari ed altri - sembrano risentire in misura molto minore degli stereotipi messi in discussione, sulla propria virilità o mascolinità. Anzi, giovani tra i 20 ed i 30 anni sono addirittura riusciti a scherzare ed ironizzare con l’intervistatore su alcune domande, in particolare sulla violenza psicologica e sessuale.

Conclusioni

Con tutti i limiti quali/quantitativi evidenziati in precedenza, si rileva tuttavia come l’analisi dei dati raccolti smentisca la tesi della violenza unidirezionale U>D e le sovrastrutture culturali che ne derivano. La teoria secondo la quale la violenza U>D sia la sola forma diffusa - quindi l’unica meritevole di contromisure istituzionali - si rivela perciò un postulato indimostrato ed indimostrabile, generato esclusivamente dal pregiudizio.
Sono pertanto prive di fondamento le teorie dominanti che circoscrivono ruoli stereotipati: donna-vittima / uomo-carnefice.

Dall’indagine emerge come anche un soggetto di genere femminile sia in grado di mettere in atto una gamma estesa di violenze fisiche, sessuali e psicologiche; e quindi come anche un soggetto di genere maschile possa esserne vittima.
Il fenomeno della violenza fisica, sessuale, psicologica e di atti persecutori, in accordo con le ricerche internazionali, anche in Italia vede quali vittime soggetti di sesso maschile, con modalità che non differiscono troppo rispetto all’altro sesso.
L’indagine, inoltre, dimostra che le modalità aggressive non trovano limiti nella prestanza fisica o nello sviluppo muscolare; anche un soggetto apparentemente più “fragile” della propria vittima può utilizzare armi improprie, percosse a mani nude, calci e pugni, secondo modalità che solo i preconcetti classificano come esclusive maschili.
La significativa rappresentatività nel campione di soggetti con prole ha fatto emergere l’effettiva strumentalizzazione che i figli hanno all’interno della coppia in crisi. 1
Il dato più evidente riguarda le violenze psicologiche, testimoniate dal campione in percentuali significative. Solo il 2,1% ha dichiarato di non averne mai subite.
Al termine di questa ricerca, ciò che gli autori auspicano è che il fenomeno venga ulteriormente approfondito dagli organi istituzionali, indagando, con identici strumenti e modalità, un campione composto da un ugual numero di donne ed uomini, secondo criteri di trasparenza ed imparzialità sino ad oggi sconosciuti.
L’obiettivo è lo studio di adeguate contromisure istituzionali, affinché la tutela della vittima sia garantita indipendentemente dal sesso di appartenenza.
Esplicito dovere di una società civile dovrebbe essere prevenire e condannare la violenza a 360°, a prescindere dal genere di autori e vittime.
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1 Tale evidenza - testimoniata negli anni da più fonti, associazioni forensi comprese - non trova ancora un concreto approfondimento nell’ambito dei Tribunali e - assieme alle accuse costruite, che si sviluppano nel fenomeno di nicchia delle separazioni e cessazioni di convivenza - costituisce il nuovo fronte di minaccia della tutela del minore.
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Appendice: grafici











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Conferenza Roma Violenza su Uomini 13112012 from violenza donne on Vimeo.


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