16 luglio 2011

Confessa un delitto mai scoperto
«Ho soffocato mia suocera»

Pareva morte naturale, è omicidio: Rea confessa Massimiliana Cherubin, 57 anni, di Spinea. In cella sei mesi dopo: «Le misi due sacchetti di plastica in testa»

Aggiornamento ad 12 gennaio 2012 - Pareva una lite banale, come tante altre avvenute negli ultimi mesi. Ma di fronte ai carabinieri della stazione di Spinea, intervenuti sul posto dopo essere stati chiamati dai vicini stufi di quelle grida quotidiane, si è aperto inaspettatamente un vaso di Pandora dell’orrore: «Quest’estate ho ucciso mia suocera e dieci giorni fa ho tentato di ammazzare anche mia figlia», ha confessato nella notte di martedì Massimiliana Cherubin, 57enne di Spinea. Era dallo scorso 16 luglio 2011 che si teneva quel macigno dentro, da quando nella sua abitazione di via Costa era stata trovata morta la 92enne Elisa Bozzi, madre del marito della signora Cherubin. Una morte che all’epoca era stata liquidata dal medico legale come una «morte naturale»: sulla donna, anziana e gravemente malata, non erano stati trovati segni che potessero far pensare a un omicidio. Ma martedì Cherubin ha raccontato nel dettaglio di fronte ai militari e al pm veneziano Lucia D’Alessandro che cosa successe quella notte di sei mesi fa: «Le ho infilato due sacchetti di plastica in testa, le ho premuto il petto con i piedi, quindi le ho tirato un calcio in testa», ha raccontato. Prima di Capodanno aveva poi cercato di soffocare — senza riuscirci forse perché aveva desistito dall’intento— anche la figlia, una 30enne disabile al 75 per cento, che già cinque anni fa aveva legato in cantina perché non la sopportava più. Il giorno dell’Epifania aveva invece tentato il suicidio ed era stata ricoverata in ospedale alcuni giorni. Una volta chiuso il verbale, la donna è stata fermata con la duplice accusa di omicidio volontario e tentato omicidio ed è stata portata nel carcere femminile della Giudecca.
Giovedì mattina, accompagnata dal suo avvocato Luciano Faraon, finirà di fronte al gip di Venezia Roberta Marchiori per l’udienza di convalida del fermo. Ma subito dopo le sue dichiarazioni gli inquirenti hanno eseguito una raffica di accertamenti per verificare se il racconto della donna fosse veritiero e pare che nell’abitazione siano stati ritrovati degli elementi che coincidono con la confessione. La donna soffre infatti da tempo di problemi psichiatrici — le sarebbe stata diagnosticata una personalità «border line» — ed era seguita dal centro di igiene mentale dell’ospedale di Mirano, anche se lo frequentava saltuariamente. Avrebbe dunque potuto inventarsi tutto, magari per il senso di colpa di non aver assistito bene l’anziana suocera? In realtà la signora Cherubin, ricorda chi la conosce, era molto provata da quelle due donne che doveva accudire quotidianamente e l’omicidio di quella notte potrebbe essere stato frutto di un raptus, così come il tentativo di uccidere la figlia. Aveva anche avuto altri problemi di salute, che aveva reso pubblici un anno fa con un appello sui giornali: soffriva infatti di bulimia ed era arrivata a pesare oltre un quintale, lei che era alta poco più di un metro e mezzo. Nel corso dell’ultimo anno, dopo un’operazione, era dimagrita di oltre venti chili, ma anche questi aspetti l’avevano resa più fragile. Il contesto di grave disagio personale e famigliare è stato raccontato dalla donna in diverse ore di interrogatorio. Gli inquirenti hanno ovviamente subito sentito tutte le persone a lei vicine, a cominciare dal marito. Il magistrato ha anche già dato l’ordine che venga riesumato il cadavere della signora Bozzi, per una nuova analisi alla luce di queste rivelazioni. L’avvocato Faraon, che seguiva la donna da anni, già in passato aveva chiesto un incidente probatorio per sottoporla a una perizia psichiatrica e presenterà la stessa richiesta venerdì mattina al gip.
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Aggiornamento al 24 aprile 2012 - Lo psichiatra e criminologo Vincenzo Mastronardi ha ribadito che Massimiliana Cherubin è capace di intendere e volere solo a metà, ma ha aggiunto che è socialmente pericolosa. Per questo, alla fine dell’incidente probatorio, il giudice veneziano Roberta Marchiori ha deciso per la donna di Spinea la misura di sicurezza: dovrà rimanere nell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere, dove già di trovava fin da alcuni giorni dopo il suo arresto.
Mastronardi era stato nominato dal magistrato e doveva dire se la donna era inferma di mente o meno e se era pericolosa. Per lo psichiatra e criminologo è parzialmente capace di intendere e volere e, dunque, può essere processata, solo che al momento di decidere la pena dovrà scattare uno sconto di almeno un terzo. A chiedere la perizia psichiatrica era stato sia il difensore, l’avvocato Andrea Faraon, sia il pubblico ministero Lucia D’Alessandro.
«Ho confessato per salvare mia figlia...Se non fossi finita in carcere avrei potuto tentare nuovamente di ucciderla. E poi sentivo l'obbligo di espiare la mia colpa, quella di aver ucciso mia suocera». Queste le parole con cui, tre mesi fa, Massimiliana, 57 anni, aveva spiegato al giudice perché aveva confessato ai carabinieri a sei mesi dall'omicidio e sei giorni dopo aver legato e imbavagliato la figlia di 30 anni.
Ma perché ha ucciso? «Non ne potevo più» aveva sostenuto e al giudice aveva raccontato che era esasperata dalla difficoltà di accudire sua suocera 92enne, che non era da tempo autosufficiente e passava le giornate a letto. Aveva aggiunto che a causa sua non poteva più star dietro alla figlia, dichiarata invalida mentale al 75 per cento.
Deve rispondere dell'omicidio della suocera, uccisa il 16 luglio dello scorso anno, e del sequestro di persona della figlia il 31 dicembre 2011 e il 4 gennaio.
Dopo quell’interrogatoria la donna, che era stata in cura presso il Centro di igiene mentale di Mirano, aveva chiesto di tornare nel carcere della Giudecca piuttosto che in un ospedale. Prima, ai militari dell'Arma, poi al pubblico ministero Lucia D'Alessandro aveva riferito tutto, anche i particolari più macabri. Dell'omicidio della vecchia suocera ha ricostruito la dinamica: aveva riferito che era caduta dal letto, dove ormai stava 24 ore su 24, e che a quel punto le aveva avvolto la testa in due sacchetti di plastica e poi l'aveva addirittura colpita alla testa con una calcio. Quindi, aveva telefonato al marito, fuori per lavoro (fa la guardia giurata), e lui si era precipitato a casa e aveva chiamato il 118.
Il medico poi intervenuto nel certificato di morte aveva scritto che il decesso era avvenuto per arresto cardiaco.
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