14 aprile 2011

Dopo il divieto di allontanamento, gli arresti domiciliari. Il provvedimento è scattato nei confronti della ex moglie che continuava a manifestare una particolare aggressività nei confronti del marito separato. Non è bastato neppure l’essere seguita da un centro di igiene mentale ad annullare o alleviare la pena. È stata questa la decisione della Cassazione in Quinta sezione penale, che ha tenuto conto del fatto che la donna non era sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio.
In particolare la Suprema corte ha respinto il ricorso di Maria Rosaria L., una signora cinquantunenne che protestava contro la decisione di metterla agli arresti domiciliari in aggravamento rispetto alla originaria misura di divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dall’ex marito. La maggior asprezza del provvedimento cautelare era stata presa dai magistrati, su richiesta del pm, in quanto Maria Rosaria «aveva continuato a compiere atti vessatori nei confronti dell’ex coniuge, mandandogli messaggi offensivi col telefono cellulare di un collega e diffondendo documenti contenenti accuse calunniose che riguardavano un presunto traffico di sostanze stupefacenti ad opera dell’intera famiglia dell’ex marito».
Senza successo la donna - persona incensurata, impiegata come funzionario della Regione Puglia - ha chiesto di essere «punita» con una misura «meno afflittiva» ma i supremi giudici le hanno detto no. Per quanto riguarda le cure mediche la Suprema corte ha osservato che la signora è risultata affetta da una patologia di tipo paranoideo che è una «probabile chiave di lettura» delle sue azioni criminali ma siccome la terapia non ha ancora conseguito «effetti stabilizzanti» non ci sono, come già stabilito dal Tribunale del riesame, garanzie sulla «cessazione delle condotte aggressive e persecutorie» ai danni dell’ex marito.


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