12 febbraio 2011

Erin Pizzey - la straordinaria testimonianza di una pioniera che aiutò le donne maltrattate senza odiare gli uomini né la famiglia
Gli odierni comitati 'pari opportunità', preclusi agli uomini, e "Tavoli inter-istituzionali per il contrasto alla violenza contro le donne" , indottrinati sulla 'violenza a senso unico', s'ispirano al femminismo-marxista-misandrico che la Pizzey concettualizzò 35 anni orsono

(trad. per CDVD a cura di Santiago G.)
Dall'introduzione di "Prone to violence" (http://www.bennett.com/ptv/):
...Volammo a New York il 12 marzo 1976 e visitammo sedici città per raccogliere fondi per creare dei nuovi rifugi in ogni luogo necessario degli Stati Uniti.
Ricordo di essere stata specialmente interessata nel trovare altre persone che erano arrivate a conclusioni simili alle mie sul perché certe persone scelgono rapporti violenti – ciò che è l’argomento principale di questo libro. Ma come risposta, trovai preponderantemente l’ostilità di quelle persone che insistevano sul fatto che tutte le donne erano semplicemente vittime dell’oppressione maschile...
...c’erano [alle riunioni] anche le solite facce viste intorno ai centri sociali e io ero assai diffidente verso di loro, essendo in grado di capire chiaramente le loro politiche. Non vidi mai il “Woman Aid” come un movimento ostile verso gli uomini, ma La Federazione Nazionale, che rapidamente prese forma, fece intendere assai chiaramente che gli uomini erano i loro nemici. Questa visione rifiutava totalmente la nostra filosofia, che non può essere incastrata in un teoria politica, ma [nasce] dal riconoscimento che le radici del problema appartengono all’essere umano: la violenza avviene per entrambi e da entrambi, uomini e donne. Questa non è una visione politicamente corretta in certi posti, e di certo per loro noi eravamo emarginate dall’inizio, perché avevamo da sempre impiegato degli uomini nel nostro rifugio, ed anche avevamo aperto una casa speciale per gli uomini delle famiglie con problemi, che chiedevano il nostro aiuto.
I funzionari civili che odiavano la nostra politica di "porte aperte" tanto quanto odiavano il nostro modo di rendere evidente la cattiva gestione dei problemi familiari da parte delle agenzie statali, videro l’opportunità di disfarsi di noi. Ci tolsero il sussidio basandosi sul fatto che non eravamo un'organizzazione nazionale, benché fossimo persino stati dichiarati ufficialmente così dalla “Commissione di Carità” e le nostre madri e figli provenissero da tutta la Gran Bretagna. Invece la Federazione Nazionale mantenne il sussidio...


3 luglio 1998
http://fathersforlife.org/pizzey/beatwife.htm

Quando è stata l’ultima volta che hai picchiato tua moglie?

Di Erin Pizzey - The Observer

Questa settimana la British Medical Association (BMA) ha riportato nel giornale The Guardian: 'Una donna su 4 maltrattata'. Secondo la BMA, 571 donne e 429 uomini sono stati interrogati riguardo alla violenza domestica in un sondaggio realizzato ad Islington. Il risultato dell’interrogazione delle 571 donne rivela che una donna su tre ha segnalato violenza domestica, e un quarto delle donne è stata costretta ad avere rapporti sessuali contro la loro volontà. Non vi è alcuna menzione nella relazione di BMA di qualsiasi risultato derivato dall'interrogazione dei 429 uomini. Dopo ulteriori ricerche si scopre che anche gli uomini sono stati consultati, ma solo per domandare se avessero fisicamente o sessualmente maltrattato le donne. I ricercatori hanno omesso di chiedere se anche loro si ritenessero vittime di violenza domestica. Questa relazione segue la scia di molte altre inchieste e documentari televisivi, adeguatamente pubblicizzati dall'inizio di quest'anno, che cercano di mostrare al pubblico che gli uomini - tutti gli uomini - sono pericolosi, violenti e imprevedibili nei loro rapporti con le donne.
Nel 1971 è stato aperto il primo rifugio nel mondo per donne e bambini in fuga dalla violenza domestica. Quasi dal primo istante, le persone che lavoravano nel rifugio con le donne e i bambini, si resero conto che delle prime cento donne che erano entrate nel rifugio, sessantadue erano tanto violente quanto i partner che avevano lasciato. Non solo ammettevano la loro violenza nei maltrattamenti reciproci che avevano avuto luogo nelle loro case, ma queste donne maltrattavano anche i loro figli. Lo scopo del rifugio non era quello di guadagnare notorietà politica dalla sofferenza personale, ma di cercare di scoprire le cause della violenza domestica e di creare programmi terapeutici per istruire i genitori proclivi alla violenza ad imparare a sradicare i loro comportamenti violenti.
Purtroppo, in quel momento il movimento femminista - avido di riconoscimenti politici e finanziamenti – monopolizzò il movimento sulla violenza domestica e tempestivamente iniziò la diffusione di disinformazione e di materiale di ricerca di dubbia scientificità. Tess Gill e Anna Coote, entrambi membri di spicco del movimento delle donne, nel loro libro Sweet Freedom (“Dolce libertà”), stabilirono che le femministe “vedevano la violenza domestica come un’espressione del potere che gli uomini esercitano sulle donne, in una società dove la dipendenza femminile è stata costruita nella struttura della vita di ogni giorno”. Concludevano che “maltrattare la moglie non era la pratica di pochi deviati, ma qualcosa che poteva emergere nel 'normale' corso delle relazioni coniugali”. Così il “politicamente corretto” entrò in azione nel movimento delle donne, e chi avesse avuto il coraggio di suggerire che le donne potevano essere colpevoli di qualsiasi atto di violenza contro gli uomini, veniva accusato di “colpevolizzare la vittima”. Tutte le donne - ci fu assicurato - sono vittime innocenti della violenza degli uomini.
Negli anni successivi autorevoli ricercatori nel campo hanno pubblicato i loro risultati. Murray Strauss, Richard Gelles e Suzanne Steinmetz hanno prodotto Behind Closet Doors – Violence in the American Family pubblicato da Doubleday/Anchor, 1980. Nelle loro conclusioni hanno rivelato che i tassi di violenza domestica tra uomini e donne erano circa uguali. Fisicamente, gli uomini causavano più danni alle donne, ma le donne rispondevano con delle armi. Questo è stato confermato da una relazione del Leicester Royal Infirmary, in Inghilterra, il quale ha riferito che i loro risultati hanno confermato che gli uomini e le donne sono vittime di aggressione violenta in modo simile, ma le lesioni negli uomini erano più terribili perché causate da armi.
Nessuna di queste constatazioni ha avuto un grande impatto sui media e sono state spazzate via dal movimento femminista, che insisteva sul fatto che le eventuali lesioni provocate dalle donne erano probabilmente per autodifesa. Quelli di noi che lavoravano in America nel campo della violenza domestica erano scontenti della marea crescente di informazioni che demonizzavano gli uomini. Nonostante le prove dimostrassero che uomini e donne erano capaci di violenza l'uno verso l'altro e che entrambi adottavano comportamenti abusivi verso i bambini, negli Stati Uniti ed in Canada venivano emanate, dal sistema giudiziario, leggi severe che discriminavano gli uomini. Le donne hanno cominciato a falsare le informazioni e ad accusare i loro partner di violenza domestica come un preambolo alla richiesta di divorzio. Gli uomini erano accusati di abusare sessualmente dei loro figli e molti venivano incarcerati senza prove. Gli uomini potevano essere allontanati dalle loro case semplicemente con una denuncia delle proprie partner, che si dichiaravano “impaurite”. Nessuna evidenza fisica, a conferma del comportamento violento, era necessaria. I tribunali si rifiutavano di disciplinare le donne che si rifiutavano di far vedere i figli ai loro padri. Gli uomini avevano una probabilità su dieci di perdere qualsiasi contatto con i propri figli. Così un'aspra guerra fra uomini e donne è diventata realtà.

Nel marzo di quest'anno ho saputo che la Women’s Unit [Istituto governativo per la donna] stava abbozzando una nuova legislazione ed ho chiesto se potevo incontrarla. Ho ricevuto un invito personale da Joan Ruddock, il Women's Minister [“Ministro per donne”, in Italia Ministro delle Pari Opportunità] per incontrarla nel suo ufficio. Dopo avermi salutato, la signora Ruddock ha precisato che sapeva che non sarei stata contenta di apprendere che nella nuova normativa gli uomini erano indicati come “autori” della violenza. Ho fatto notare che tutte le ricerche concludevano che tanto gli uomini quanto le donne erano ugualmente in grado di essere autori di violenza domestica. Ruddock non era d'accordo. “Le cifre delle donne che aggrediscono gli uomini sono minuscole”, mi ha assicurato Ruddock. Durante la discussione Ruddock mi ha informato che si stava sviluppando, da parte del Ministero della Donna, una strategia nazionale di lotta contro tutte le forme di violenza contro le donne, la quale sarebbe stata lanciata nell'autunno di quest'anno. Ho chiesto se le associazioni Men’s movement [Movimento per gli uomini] del Regno Unito o Families Need Fathers [Le famiglie hanno bisogno di padri] erano state consultate, ma Ruddock ha detto che non pensava che avessero molto da offrire alla discussione. Ha anche lasciato intendere che non pensava che io avessi qualcosa da offrire. Come risultato di questo incontro, alcune donne preoccupate hanno incontrato Ian Kelly, rappresentante del Men’s movement del Regno Unito, e abbiamo convenuto che era necessario per le donne formare una propria organizzazione per tutelare i diritti delle famiglie e dei loro padri.
Un'altra delle mie preoccupazioni principali erano i programmi sviluppati in America, dove gli uomini ritenuti “autori” della violenza erano sottoposti a programmi rieducativi gestiti da rancorose femministe anti-maschio. Il programma Duluth è uno dei più noti. S'individuano caratteristiche comuni responsabili della violenza domestica, fra le quali le idee tradizionali sulla posizione degli uomini nella società e nella famiglia. Tradotto, questo significa che gli uomini del programma devono ammettere il loro patrimonio patriarcale ereditato. Il loro crimine è essere nato uomo, e questi programmi sono una forma molto rudimentale di lavaggio del cervello del movimento femminista. Alcune delle legislazione degli Stati Uniti sono terrificanti. In California, gli uomini riconosciuti colpevoli di violenza domestica devono recarsi per l’iscrizione presso le stazioni di polizia locale insieme ai pedofili. Ho chiesto alla signora Ruddock se il Women's Unit avesse intenzione di importare questi programmi in Inghilterra. La Ruddock ha eluso la questione.

Un ambito della ricerca che non è riuscito a vedere la luce del giorno, è che la peggiore forma di violenza non si verifica fra uomo e donna, o neanche fra uomo e uomo, ma si verifica fra donna e donna. La violenza lesbica è molto violenta e una fonte di grande imbarazzo per il movimento femminista radicale. In un campione di 1.099 lesbiche, Lie e Gentlewarrior (pubblicato in stampa), è emerso che il 52% delle intervistate sono state maltrattate dall’amante o dal partner femmina. Se le donne sono così violente nelle relazioni tra di loro, come si può mantenere in piedi il mito degli uomini come autori di violenza domestica? [n.d.r.: si veda, in proposito, il nostro approfondimento: http://violenza-donne.blogspot.com/2009/01/violenza-delle-donne-sulle-donne-il.html ].

Edmund Burke rilevò “Perché il male possa trionfare, basta agli uomini buoni solo non far nulla”. Per quasi trent'anni gli uomini hanno fatto molto poco per proteggere se stessi dall'essere privati dei diritti civili, delle loro case e dei loro figli. Ora, con questa nuova legislazione già preparata per l’autunno di quest'anno, senza un'adeguata consultazione, gli uomini buoni continueranno a non far nulla?

6 dicembre 1998 - The National Post

http://97.74.65.51/readArticle.aspx?ARTID=11897

Due anni fa, Terri ammise di essersi approfittata dei centri anti-violenza. Suo marito non l'aveva mai picchiata, ed ammise di aver mentito perché era assurdamente facile e conveniente. [...] “Andai alla porta e piansi che mio marito mi abusava. I bambini non erano con me perché non volevo che mi vedessero”. Terri racconta che il personale accettò la sua storia. Quindi portò i bambini al rifugio, dove il personale la istruì su come vincere una causa di divorzio. Le dissero che “la prima cosa da fare è ottenere un ordine restrittivo contro il marito”.
Nel caso di Terri il risultato fu un affidavit dove non accusava il marito di essere aggressivo, ma di avere caratteristiche tipiche degli ubriachi. Su questa base “ottenni l’ordine restrittivo, e subito dopo la custodia esclusiva dei bambini, senza diritti di visita al padre”.
Dopo capii cosa avevo fatto. I miei bambini non avevano visto il loro papà per un anno, e non mi preoccupai che questo facesse loro del male” dice Terri, che ora fa la terapista. “Non è stata una guerra onesta: io avevo il rifugio e le femministe dalla mia parte”.
[...] La loro propensione a stereotipizzare tutti i padri come abusanti e tutte le madri come vittime non è una sorpresa per gli avvocati e gli operatori sociali allarmati dal ruolo che i rifugi hanno nei divorzi. Oltre a dare supporto morale alle madri, scrivono lettere a loro favore – nonostante non abbiano mai visto l’uomo coinvolto ed abbiano sentito solo una parte della storia. [...] Susan Baragar si definisce una femminista, ma crede che sia troppo facile per le donne ottenere lettere dai rifugi, ed avverte che sono un’arma potente. I giudici sono fortemente impressionati se una donna sta in un rifugio, che scrive in una lettera che il padre è pericoloso per i bambini.
Il genitore che ottiene la custodia temporanea è quasi sicuro di ottenere dopo quella definitiva (i giudici sono riluttanti a ribaltare una seconda volta le vite dei bambini), quindi le relazioni fra i bambini ed i loro padri vengono devastate in alcuni casi solo sulla base della lettera di un rifugio.
[...] Ad esempio, un'operatrice riuscì a capire, dopo un solo incontro, che la donna “era stata abusata da bambina ed ora da adulta”, aggiungendo che auspicava che la Corte riconoscesse questa lettera di supporto per una donna “intelligente, sensibile e sincera”. Due anni dopo il giudice arrivò alla conclusione opposta: nonostante fosse poco più che ventenne, aveva già fatto sette denunce di abusi sessuali contro 11 diverse persone. La donna, scrive il giudice, “aveva accusato suo padre, suo fratello e sua sorella di averla abusata, ma ciononostante non ha esitato a portare i bambini a vivere con loro”. La donna perse la causa, ed i bambini furono affidati alle cure della nonna paterna.
Un'altra operatrice scrisse che una madre era “affettuosa e dedita ai figli”, che dovevano essere affidati a lei piuttosto che al marito. E invece quattro anni prima la Società per la Difesa dei Bambini l'aveva accusata con successo di essere un pericolo per i figli, che “erano spesso spaventati dalla madre”. Una volta minacciò il marito con un coltello e tentò il suicidio. In un'altra occasione “aprì la porta della macchina mentre viaggiava sull’autostrada e minacciò di lanciarsi”. Questi due incidenti avvennero in presenza dei bambini, ma la corte le affidò comunque i figli. [...]
Louise Malenfant, operatice sociale, chiama i rifugi per donne “supermarket di divorzi per donne” e dice che oltre ad aiutare donne a fare false accuse di violenza, i rifugi nella sua città hanno aiutato a fabbricare accuse di abusi su bambini. [...] Ha testimoniato che i bambini venivano portati in stanze in cui le madri non potevano entrare, soggetti ad un programma di sensibilizzazione agli abusi sessuali, e venivano interrogati in modo non appropriato dal personale dei rifugi. Ms Malenfant dice al National Post: “Se esponi un bambino a materiale sessuale e lo interroghi ripetutamente per una settimana o due, il bambino può letteralmente ripetere quello che gli è stato detto”.
Mr. Malenfant sostiene che anche le madri che non avrebbero altrimenti accusato i propri mariti di incesto, finivano per considerare queste accuse che nascevano durante un soggiorno al rifugio, ed ha pubblicamente chiesto un’indagine sui rifugi, scrivendo alle autorità competenti. Come risultato, il problema sembra essere sparito: “da un anno non ho più sentito nuovi casi, non so cosa abbia fatto il governo”.
“Sono molto arrabbiata, perché ci sono anche reali casi di abusi, e vedo che ora i giudici gli danno minore peso, per via delle tante bugie. I giudici sono ora più inclini a credere che sia solo una falsità”.



Da The Indipendent di domenica 28 marzo 1999, sez. News, pag. 6 (http://www.ivorcatt.com/2023.htm ):Pizzey dà voce agli uomini maltrattati



Erin Pizzey, pioniera dei rifugi per mogli maltrattate, ha lanciato un duro attacco alle femministe che così entusiasticamente appoggiarono la sua crociata contro la violenza domestica. Le “sorelle”, dice, hanno soppresso l’evidenza che anche gli uomini sono “vittime”. Nel suo nuovo ruolo nella difesa degli uomini maltrattati ella ha indicato il Principe Charles come il prototipo di “marito maltrattato”. Le donne, sostiene, sono tanto violente a casa quanto gli uomini, e molte possono ottenere “un brivido di piacere sessuale” colpendo i propri compagni.
Nel programma Counterblast della BBC2 del martedì sera, la Sig.ra Pizzey responsabilizzò le femministe degli anni Sessanta e settanta per molti dei mali dell'odierna società. Celebri femministe, dal canto loro, sostengono che ella afferma delle sciocchezze. In un'intervista con il domenicale The Independent, la sig.ra Pizzey ha sviluppato il suo punto di vista. Lei sostiene che le donne violente siano state a loro volta maltrattate e continuano ad essere imprigionate in questo circolo distruttivo nelle proprie relazioni. La principessa del Galles era un tipico esempio, in quanto era stata fisicamente maltrattata da suo padre - ha detto la Pizzey - il quale usò la famiglia Spencer come ispirazione per il suo romanzo sulla violenza aristocratica, "Il re del castello".
“Piansi il giorno che Diana sposò Charles, perché ella avrebbe dovuto piuttosto ricevere una terapia. Era stata maltrattata fisicamente da suo padre, che era molto violento, e lei continuò ad adoperare questo modello nella sua relazione. “Per quanto ne so, Diana gettò Raine Spencer dalla rampa delle scale. Se Charles la avesse attaccata, questa sarebbe diventata notizia d'importanza nazionale. La principessa del Galles non ebbe mai un'opportunità". Negando il lato oscuro delle donne, il problema sarà per sempre irrisolto. “Le donne che ho incontrato nelle case a luci rosse hanno scelto di essere loro stesse delle prostitute a seguito di un modello di violenza. Da bambine erano state maltrattate fisicamente o abusate. Hanno instaurato dipendenza da relazioni con degli uomini che oscillano fortemente fra alti e bassi, “relazioni a montagne russe”, e il dolore fisico è una componente dei rapporti sessuali. Queste donne ottengono un'elevata soddisfazione sessuale in questo modo, ma questo è un lato troppo oscuro perché le donne ne parlino. A sostegno della sua teoria, la sig.ra Pizzey si è avvalsa dell’aiuto di accademici uomini, come il Prof. John Archer, che sostiene che un terzo dei casi di violenza domestica riferiti nella letteratura accademica mostrano che gli uomini hanno bisogno di cure mediche dopo essere stati attaccati da donne. Se ne trova ulteriore supporto anche nella nuova ricerca del sociologo Dr. Michele Burman, dell'Università di Glasgow sulla predisposizione alla violenza delle teenager femmine, rivelando una diffusa credenza che il picchiarsi, particolarmente con ragazzi, è “completamente appropriato” e “utile” per le ragazze.
Il movimento femminista ha molto di cui rendere conto, dice la Sig.ra Pizzey: etichettando gli uomini come aggressori ha contribuito alla distruzione della vita familiare. Questa controversia è stata a lungo la sua compagna di viaggio.
Dopo aver costituito il primo rifugio per donne a Chiswick, ovest di Londra, nel 1971, affermò che non tutte le donne erano sempre innocenti.
A seguito di queste affermazioni si succedettero minacce di morte e fu boicottata da molte femministe. Biasima perciò queste donne e la causa che sposarono. “Vedremo in futuro il movimento femminista come una tragedia”, afferma.
“Le donne sono diventate schiave della propria carriera ed un'intera generazione non si sposerà e non avrà mai figli. Il matrimonio protegge le donne. Tutto ciò che la pillola ha ottenuto è di liberare gli uomini, perché permette loro di fare sesso occasionale.
Io vidi il movimento femminista come sorellanza e famiglia, ma non lo era in realtà”
.
Nel contesto della prima ondata di femministe segnala Germane Greer, che definisce “donna brillante”, la quale sbagliò affermando che le donne erano esattamente come gli uomini. Definisce Bea Campbell e Andrea Dworkin femministe sessiste propagatrici di misandria.
L’aspra risposta allo sfogo della Sig.ra Pizzey non si lasciò attendere. “Bisogna essere pazze per affermare quanto sostenuto”, afferma la scrittrice e commentatrice Campbell, adesso professoressa dei Women Studies all'Università di Newcastle. “Lei afferma che il femminismo è pernicioso, cattivo e pericoloso. Questa posizione è irrispettosa con le donne vittime di maltrattamenti e svia l’attenzione dagli argomenti principali”.
Sheila Rowbotham, collega di ricerca all’Università di Manchester oltre che femminista anche lei della prima ora, condivide il rifiuto. “Anche alle donne piace alcune volte fare sesso casuale. È ridicolo sostenere che il movimento femminista è una tragedia: è stato invece straordinariamente importante. Ella [la Pizzey] aveva un marito che lavorava nella stampa e riuscì così ad attirare su di sé l’attenzione pubblica, quando c’erano contemporaneamente numerose donne anonime che costituivano anch'esse rifugi per donne. È pericoloso gonfiare il fatto che le donne commettono violenza domestica. Così dice soltanto delle stupidaggini”. Anna Coote, consigliere di Harriet Barman e prolifica scrittrice sul tema delle donne, condivide anche lei il rifiuto.“Dimostra unicamente la propria ignoranza semplificando il movimento femminista” - afferma la Coote. “Cade nella trappola in cui cadono molte persone affermando che il femminismo è un'unica cosa, quando di fatto è una realtà molto composita e presenta molte forze e debolezze. Le statistiche da sole parlano chiaro, gli uomini sono i principali aggressori nelle violenze domestiche. Non credo che nessuno possa prenderla sul serio”.

Da The Daily Mail del 22 gennaio 2007 (
http://www.dailymail.co.uk/news/article-430702/How-feminists-tried-destroy-family.html )

Come le femministe hanno cercato di distruggere la famiglia
Nel 1970 io ero una giovane casalinga con un marito, due bambini, due cani e un gatto. Vivevamo in Hammersmith, West London, e non vedevo spesso mio marito perché lavorava per la TV Nationwide. Io rimanevo a lungo sola ed isolata, la mia vita era riempita unicamente dai soliti compiti domestici, la cucina e la pulizia.
All’inizio degli anni Settanta, un nuovo movimento di donne – nel chiedere uguaglianza e diritti - iniziò a comparire sulle testate dei giornali. Dal loro linguaggio io lessi parole quali “solidarietà” e “sostegno”. Appassionatamente credetti che le donne non sarebbero mai più state isolate l’una dall’altra, e nel futuro ci saremmo unite per cambiare in meglio la nostra società.
In pochi giorni ebbi l’indirizzo di un gruppo locale in Chiswick, e fu il viatico per unirmi al Movimento di Liberazione delle Donne. Mi chiesero di pagare 3 sterline e dieci scellini come contributo d’iscrizione, mi dissero di chiamare le altre donne “sorelle” e di chiamare i nostri incontri “collettivi”.
La mia attrazione per questo movimento durò solo pochi mesi. Negli affollati “collettivi”, sentii donne furibonde predicare l’odio per la famiglia. Loro sostenevano che la famiglia non era un posto sicuro per donne e bambini. Fui terrificata dalle loro idee virulente e violente. Rimasi nei loro organismi cercando di ragionare con le leader di questa nuova organizzazione.
Finii per essere espulsa dal movimento. Il mio crimine fu quello di ammonire all’ufficio di Shaftesbury Avenue del Movimento di Liberazione delle Donne che se avessero persistito nella cooperazione per la progettazione di collocare una bomba al Biba, un negozio di abbigliamento di moda in Kensington, avrei chiamato la polizia.
Una bomba era stata fatta scoppiare al Biba perché il movimento delle donne lo riteneva un ditta capitalista che incoraggiava il sessismo sul corpo delle donne.
Decisi che stavo sprecando il mio tempo cercando di influenzare quello che, secondo me, non era che un movimento marxista-femminista a caccia di soldi da donne ingenue come me.
In quell’epoca incontrai un piccolo gruppo di donne nella mia zona che la pensava come me. Convincemmo il consiglio comunale di Hounslow a donarci una piccola casa in Belmont Terrace, Chiswick. Avevamo due stanze al primo piano, due stanze al piano terra, una cucina e un bagno esterno. Istallammo un telefono ed una macchina da scrivere ed ecco che eravamo operative.
Tutti i giorni, dopo aver lascito i miei figli a scuola, andavo alla nostra piccola casa, che chiamavamo Woman’s Aid (Aiuto per le donne). Molto presto donne di tutta la zona di Chiswick venivano per chiedere aiuto. Finalmente avevamo un posto dove le donne potevano incontrarne altre e portare i propri figli. I miei lunghissimi giorni solitari erano finiti.
Ma allora successe qualcosa che mi fece comprendere che il nostro ruolo non poteva essere limitato ad un forum dove le donne scambiavano le proprie idee. Un giorno, una donna venne da noi. Si levò la maglia e ci mostrò le ferite e le contusioni lungo tutta la schiena e il petto. Suo marito l’aveva colpita con la gamba di una sedia. Lei mi guardò e mi disse: “Nessuno mi aiuta”.
Ad un tratto fui catapultata nel passato. Avevo sei anni ed ero di fronte al maestro di scuola. Le mie gambe segnate e sanguinanti dalle frustrate che avevo ricevuto da uno filo di ferro. “Me lo ha fatto mia madre ieri sera”, dissi. “Non mi stupisco”, rispose il maestro “sei una bambina discola”.
Nessuno mi aiutò allora e nessuno avrebbe potuto pensare che mia madre, una donna bella, ricca - era sposata ad un diplomatico – potesse mai usare violenza su di me.
Fin a quel momento, per 35 anni, io avevo seppellito il mio passato e mi ero convinta che, poiché esistevano assistenti sociali, psicologi, dottori, ospedali e procuratori, le vittime di violenze avevano già un aiuto sufficiente.
Velocemente scoprii che il maltrattamento di donne e di bambini dentro le mura domestiche riguardava la sfera privata e non doveva riguardare le persone esterne.
Se qualcuno veniva percosso per strada, quello era una reato; se la stessa violenza veniva esercitata dietro una porta chiusa, dentro le mura domestiche, la polizia non aveva né il diritto né il potere di intervenire.
Il fatto sconvolgente era che fino ad allora c’era un assordante silenzio riguardo la tematica della violenza domestica.
Tutti gli enti sociali erano a conoscenza della violenza domestica, ma nessuno ne parlava. Cercai della letteratura al riguardo, che mi aiutasse a capire questa epidemia, ma non trovai niente tranne pochi articoli nei giornali medici su bambini abusati.
Allora nel 1974 scrissi “Urla piano o i vicini ti sentiranno”, il primo libro al mondo sulla violenza domestica. Rivelai che donne e bambini erano abusati nelle proprie case e loro non potevano fuggire perché la legge non li proteggeva.
Se un marito richiedeva e dava la propria disponibilità a riaccogliere la moglie a casa, a lei le veniva negato qualunque sussidio dal Dipartimento di Salute e Sicurezza Sociale, e i servizi sociali potevano unicamente offrire assistenza ai bambini.
Nel frattempo, la nostra piccola casa si riempì di donne che fuggivano dai loro compagni violenti: qualche volta addirittura fino a 56 madri e bambini in quattro stanze. Tutte avevano delle storie terrificanti, ma mi resi conto quasi immediatamente che non tutte le donne erano innocenti. Alcune erano violente tanto quanto i loro uomini, e violente verso i loro bambini.
Le assistenti sociali coinvolte con queste donne mi dissero che stavo sprecando il mio tempo in quanto quelle donne sarebbero ritornate con i loro compagni.
Ero determinata a cercare di spezzare la catena di violenza. Ma quando i giornali locali resero nota la storia della nostra casa, mi preoccupai di una nuova differente minaccia.
Sapevo che il sostegno nazionale al movimento radicale femminista stava piano piano diminuendo: cioè era dovuto al fatto che sempre più spesso donne sensate non condividevano le tendenze antimaschili e antifamiliari. Il movimento perciò era non soltanto in cerca di una causa, ma anche di soldi.
Nel 1974 le donne che abitavano nel mio rifugio organizzarono un incontro nella nostra sala parrocchiale per incoraggiare altri gruppi ad aprire rifugi lungo tutto il Paese.
Fummo colpite e spaventate dalla partecipazione all’incontro di molte attiviste lesbiche e femministe radicali, che avevo visto in passato nei “collettivi”. Esse iniziarono ad incoraggiare l’impegno in un movimento nazionale lungo tutto il Paese.
Dopo un'accalorata discussione, io e le mie madri maltrattate lasciammo la sala; e successe quanto io di più avevo temuto.
Nel giro di pochi mesi il movimento femminista si era appropriato del movimento di violenza domestica, non soltanto in Gran Bretagna, ma internazionalmente.
Noi avevamo fornito loro la causa ed esse avevano ora un legittimo motivo per odiare e colpevolizzare tutti gli uomini. Sfornarono principi assoluti i quali erano tanto pregiudiziali quanto ignoranti. “Tutte le donne sono vittime innocenti della violenza maschile”, dichiararono.
Aprirono la maggior parte dei rifugi nel Paese e vietarono agli uomini di lavorare in questi rifugi o di far parte delle commissioni di gestione.
L’ammissione di donne con problemi di alcool o di droghe era rifiutata, come anche i bambini oltre i 12 anni. L’affiliazione veniva negata a rifugi che davano lavoro anche agli uomini.
Il nostro gruppo in Chiswick accolse tante rifugiate quanto fu possibile. Donne buone e generose lavorano ancora oggi nei rifugi lungo il Paese, ma molte di loro che lavorano nei rifugi femministi, circa 350, ammettono che stanno fallendo, non aiutando le donne che più ne hanno bisogno.
Con le prime donazioni ricevute nel 1972, noi impiegammo un uomo per la terapia di gruppo, in quanto ritenemmo necessario per i nostri bambini il rapporto con un uomo gentile, buono. Stabilimmo un programma di trattamento anche per le donne che a loro volta erano violente e presentavano disfunzioni. E ci concentrammo su bambini colpiti da violenza e abusi sessuali.
Nel frattempo i rifugi delle femministe continuarono a creare programmi di training dove si descriveva unilateralmente la violenza dell’uomo contro la donna. Lentamente si fece un lavaggio del cervello alla polizia ed altre organizzazioni che ignoravano la ricerca e le prove che anche gli uomini potessero essere vittime di violenza.
Malgrado gli attacchi dei giornali femministi attraverso la stampa e le minacce anonime telefoniche, continuai a sostenere che la violenza è un modello di comportamento che s'impara nella prima infanzia.
Quando, a metà degli anni ottanta, pubblicai “Prone to violence”, basato sul mio lavoro sulla propensione alla violenza delle donne e dei loro bambini, centinaia di donne dai rifugi femministi picchettarono, mostrando manifesti con delle scritte. “Tutti gli uomini sono bastardi” e “Tutti gli uomini sono stupratori”.
A causa della violenza delle minacce, mi fu assegnata una scorta per i miei spostamenti lungo tutto il Paese.
Era deleterio che un relativamente piccolo gruppo di femministe radicali potesse influenzare l’assistenza sociale e la polizia. Inoltre mi resi consapevole di uno sviluppo molto peggiore ed insidioso nella forma della politica pubblica, realizzato da donne potenti, che ingeneravano atteggiamenti ostili agli uomini.
Nel 1990 Harriet Harman (divenne Ministro del governo), Anna Coote (divenne consigliere del Ministro Laburista per le donne (Pari opportunità)) e Patricia Hewitt (si, anche lei è nel Consiglio dei Ministri laburista!) espressero il loro pensiero di politica sociale in un pamphlet denominato “Il modello familiare”. Recitava così: “Non si può assumere che gli uomini siano tenuti ad essere una risorsa ed un bene nella vita familiare, o la presenza dei padri nelle famiglie sia un mezzo di sociale armonia e coesione”.
Era un attacco sconcertante agli uomini e al loro ruolo nella vita moderna.
Hewitt, in un libro di Geoff Dench chiamato “Trasformando gli Uomini” nel 1995, disse: “ma se noi vogliamo che i padri abbiano un ruolo pieno nella vita dei loro figli, allora dobbiamo portarli nei gruppi di gioco, negli asili nido e nelle scuole. E qui, di certo, avvertiamo le immediate difficoltà se possiamo realmente affidare bambini a degli uomini”.
Tuttavia nel 1998 il Ministero dell’Interno pubblicò uno studio storico che asseriva che tanto gli uomini come le donne potevano essere vittime di violenze domestiche.
Con la relazione nella mia mano, cercai di discuterne con Joan Ruddock, allora Ministro per le donne (Pari opportunità). Secondo lei le cifre degli uomini maltrattati erano “minuscole” e perciò continuò a riferirsi agli uomini come “aggressori”.
Per quasi quattro decadi, questi perniciosi atteggiamenti verso la vita familiare, verso i padri ed i ragazzi hanno permeato il pensiero della nostra società, a tal punto che i maestri o gli assistenti maschi sono spaventati di toccare od abbracciare (coccolare) i bambini.
Gli uomini possono essere accusati di violenza verso le loro compagne e di abusi sessuali senza alcuna evidenza. I tribunali discriminano i padri e rifiutano il permesso di visita o affidamento sulla scorta di modelli viziati.
Senz’altro, ci sono uomini pericolosi che manipolano tribunali e servizi sociali per perseguitare le proprie compagne e i loro bambini. Ma colpevolizzando tutti gli uomini, abbiamo perso di vista nella massa che quella è una minoranza, ed [abbiamo] espulso, invece, i molti che lavorerebbero con le donne verso soluzioni comuni.
Credo che il movimento femminista mirava in fondo ad una nuova Utopia che consisteva nella distruzione della vita familiare. Nel nuovo secolo - così sosteneva il loro credo - l’unità familiare sarebbe stata composta di sole donne ed i loro figli. I padri sono accessori. E tutto quello era correlato, in modo imperdonabile, alla violenza domestica.
Nella mia mente non fu mai una questione di sesso: quelli esposti a violenza nella prima infanzia di solito crescono ripetendo ciò che impararono, indipendentemente se sono ragazzi o ragazze.
Volgo lo sguardo al passato con tristezza, memore della mia giovane fede e visione, secondo cui sarebbe stato possibile creare dei luoghi dove tutti – uomini, donne e bambini che hanno subito violenze fisiche e sessuali – potessero trovare aiuto e, se fossero stati dei violenti, avrebbero potuto ricevere una seconda opportunità di imparare a vivere in pace.
Io credo che quella visione fu sottratta da donne vendicative che hanno ridotto a ghetto il movimento dei rifugi e lo adoperarono per perseguitare gli uomini. Ormai è scattata l’ora di sfidare questa diabolica ideologia ed insistere perché gli uomini possano prendere il posto che spetta loro nel movimento dei rifugi.
Abbiamo bisogno di un movimento che offra sostegno a chiunque ne abbia bisogno. Per quel che mi riguarda io continuerò a lavorare sempre con chiunque abbia bisogno del mio aiuto o possa aiutare altri; e questo certamente include gli uomini.



10 agosto 2009
http://www.welt.de/politik/deutschland/article4295642/Why-Women-s-Shelters-Are-Hotbeds-of-Misandry.html
http://www.centriantiviolenza.it/the_truth_archives/focolai-di-misandria/

Da Die Welt: “Perché i rifugi per donne sono focolai di misandria”

Non appena l’operato dei rifugi per donne è stato per la prima volta analizzato in Germania, il Comitato per gli Affari Familiari del Budenstag ha deciso di valutare se questi centri debbano continuare ad essere finanziati dal governo. Vista l’ideologia politica di questi centri e le sue implicazioni, questa proposta dev'essere studiata seriamente. I servizi offerti da questi centri hanno dato risultati? Vi si opera in maniera professionale, o sono degenerati verso un’ideologia che vede gli uomini come unici violenti? Hanno sviluppato una comprensione professionale dei conflitti familiari, tale da includere tutti i membri di una famiglia violenta?
Come al solito, i fondi vengono erogati sulla base della conveniente statistica secondo cui “una donna su 4 è vittima di violenza domestica”. Poiché non esistono dati analoghi sulla violenza contro gli uomini, tale numero non legittima adeguatamente centri per sole donne. Finora, ci si è focalizzati sulle donne come vittime, rinnovando i fondi per tali centri. La loro efficacia non è stata monitorata. [...]
Tali centri furono aperti più di 20 anni fa, con lo scopo di focalizzare l’attenzione pubblica sull’esperienza della violenza da un punto di vista femminile. Questo autore all’epoca tentò di sostenerli politicamente [...] non potendo immaginare che i rifugi per donne avrebbero contribuito a polarizzare la società in uomini violenti contrapposti a donne pacifiche, quindi causando anni di stagnazione nel rapporto fra i generi.

Politiche familiari sbagliate

Oggi conosciamo le dinamiche familiari che portano alla violenza. Sono stati effettuati più di 200 studi negli Stati Uniti ed in Canada, ma il campo delle politiche familiari ha opposto resistenza al punto principale dei loro risultati: che le donne sono violente ed aggressive quanto gli uomini. Questo si applica anche al loro comportamento con i bambini. Particolarmente durante un divorzio conflittuale. I centri familiari dovrebbero attivarsi per limitare la violenza in modo che i bambini non ne siano coinvolti.
Uno studio a largo raggio condotto dall’autore in Brema ha mostrato che la violenza capita nel 30% dei divorzi, con 1.800 uomini che hanno riportato abusi fisici e psicologici dalle loro compagne. Un’incidenza tre volte maggiore che in condizioni ordinarie. In tali divorzi violenti, la violenza è stata nel 60% dei casi iniziata dalle ex-compagne.
Tali risultati rivelano la violenza femminile. Secondo i centri femministi, solo gli uomini sono violenti. Invece di attenuare i conflitti legati ai divorzi, tali centri li acuiscono, sostenendo che l’unico pericolo per i bambini siano i padri. Tentano di usare tale pregiudizio per spezzare il diritto dei bambini ad avere entrambi i loro genitori.
Il 60% di violenza femminile in casi di divorzio causa grande sofferenza ai padri che la subiscono. Le ricerche ed i numeri non supportano l’ideologia dell’uomo come nemico, adottata nei centri femministi. Considerano come successo non il risolvere i conflitti, ma l'alimentare l’ostilità contro gli uomini. [...]
Un centro di consulto familiare può invece aiutare i coniugi a comunicare, ed a scegliere se riconciliarsi o separarsi con rispetto. Aiutando i bambini a non perdere le esperienze positive del passato.
I centri femministi sono incapaci di fornire questo tipo di intervento professionale per via della loro ideologia: vedono ogni uomo come il nemico di ogni donna. Credono apoditticamente che le donne non siano violente. Secondo la loro ideologia, è superfluo che una donna parli al compagno. Per i loro fini, le donne vengono manipolate a considerarsi vittime e gli uomini vengono denigrati come genere. [...]
I centri femministi rappresentano un mondo dove manca la gioia della vita, e gli sforzi di risolvere i conflitti vengono rimpiazzati da disfattismo e rinuncia. La misandria appare come l’unica via di fuga. Quest'atmosfera oppressiva è sicuramente responsabile dei tanti abbandoni e dissensi fra il personale.
Le donne negli Stati Uniti si tengono sempre più alla larga da tali centri, nonostante la gravità dei loro conflitti. Non vogliono vivere in un mondo che disprezza gli uomini. Hanno già i loro problemi.
Chi sostiene tali centri non dà peso all’obiezione secondo cui compromettono l’etica dell’assistenza sociale, in quanto la professionalità non è il loro scopo. Al contrario, si auto-definiscono di parte, che significa vedere le donne come vittime del potere maschile e della maggioranza indifferente. L’etica professionale è stata deliberatamente rimpiazzata dall’ideologia politica. Questo dà loro un senso narcisistico di superiorità morale sul resto del mondo. [...] Credono che la loro retorica anti-patriarcale avrà maggior impatto che terapisti ed assistenti preparati professionalmente. In maggioranza, non importa loro di non aiutare genuinamente le persone che chiedono aiuto [...].

L’ideologia femminista: un campo di coltura di misandria

Ci sono centri che hanno superato l’ideologia, ma lo stesso nome di “rifugi per donne” implica la disastrosa ideologia del femminismo radicale, dove le relazioni fra uomini e donne sono cristallizzate nel loro status di violento e vittima. Le donne sono sempre innocenti e gli uomini sempre colpevoli. Tali centri perpetuano la distruzione della comunicazione fra i membri della coppia, come progetto politico.
Le conclusioni sono ovvie. I centri basati sull’ideologia femminista non sono più necessari. Le famiglie con problemi di violenza hanno invece urgente bisogno di una rete di centri di ascolto che possano fornire aiuto non politicizzato e non sessista a tutte le persone. Perché la violenza domestica fa parte della natura. Se una donna picchia suo marito, o un uomo picchia la sua moglie, è probabile che stiano anche abusando dei figli. Ed i bambini picchiati hanno maggior probabilità di diventare adulti violenti, perpetuando la violenza nelle generazioni successive. [...]

Centri di supporto contro la violenza familiare

Nel futuro abbiamo bisogno di sostituire i centri femministi con centri di supporto per famiglie con conflitti violenti. Sarebbero gestiti da uomini e donne ben preparati, che cooperano sulla base dell’etica professionale, intervenendo durante le crisi familiari violente. [...] Il supporto e la terapia devono semplicemente essere liberi da ideologie politiche, come dev'essere nelle società democratiche.
Allo stesso tempo, dobbiamo discutere il problema nelle università: la correttezza politica oggi impedisce di pensare alle donne in termini di aggressione e violenza, e questo deve essere confrontato con i risultati della ricerca internazionale.

L’autore, il sociologo Gehrard Amendt, è professore all’Università di Brema ove dirige l’Istituto di ricerca sui rapporti fra i generi e le generazioni (Instituts für Geschlechter- und Generationenforschung).


Canada - Bambini riferiscono di essere stati indotti ad odiare i padri in un altro centro anti-violenza dell'Ontario


L'Osservatorio Giudiziario del Canada ha ricevuto una chiamata da bambini, che riferiscono di essere stati recentemente condotti dalle loro madri in un centro anti-violenza contro la loro volontà e che nel rifugio è stato detto loro più volte quanto i padri siano stati cattivi, compreso il loro.
I bambini hanno riferito che quando volevano parlare con il padre, mediante il cellulare delle operatrici del centro anti-violenza, queste stavano accanto a loro per ascoltare ogni parola.
I bambini hanno riferito che non potevano parlare col loro padre apertamente e sinceramente, o dire qualcosa circa l'abuso di cui sono stati testimoni nel rifugio, o di come la loro madre li stava abusando nel rifugio. Infatti la madre aveva un'imputazione per violenza domestica mentre era nel rifugio.
I bambini riferiscono che, una volta usciti, racconteranno tutto.
L'Osservatorio Giudiziario del Canada richiama i centri anti-violenza ad una maggiore trasparenza e responsabilità. Le donne violente ed abusanti non dovrebbero essere accolte in un centro dove risiedono i bambini.
La pratica di insegnare ai ragazzi ad odiare i padri dev'essere fermata. I rifugi trovati ad infondere questo tipo di odio nei bambini dovrebbero essere immediatamente chiusi.
L'Osservatorio Giudiziario del Canada ha ricevuto, nel corso degli anni, denunce da molti bambini e genitori circa la violenza e gli abusi in alcuni rifugi per donne finanziati dal governo.
fonte

sebbene siano utili in caso di abusi reali e non costruiti, è necessario sollecitare un controllo sui centri antiviolenza"
“…Studiando le numerose vicende giudiziarie dei padri privati ingiustamente del ruolo genitoriale, (ferma restando la necessità della tutela dei minori in caso di abusi e/o disagi acclarati e non solo millantati), da donna e madre, prima ancora che da avvocato, esprimo la mia solidarietà. Sottolineo però l'esigenza, alla luce delle ingerenze economiche (sovvenzioni pubbliche) comuni a tutti i casi che stanno emergendo, di promuovere una raccolta firme da inoltrare alle Autorità competenti al fine di fare emergere la reale dimensione sociale del problema - che sembra essere esteso su tutto il territorio nazionale - e sollecitare un intervento qualificato che miri al controllo sulle gestioni di questi centri antiviolenza, sulle competenze e professionalità coinvolte e, soprattutto, che sfoci in una più attenta normativa sui limiti dei loro poteri di azione. Mi sembra, infatti, che allo stato, non sia garantita una giusta perequazione tra l'esigenza di tutela dei minori in presunto stato di disagio ed il diritto del genitore privato del suo ruolo di contestare legittimamente i provvedimenti, troppo spesso assunti inaudita altera parte.
Daniela Piccione – Avvocato, Delegato Regionale Sicilia Familiaristi Italiani, 31 10 2009


2 commenti:

Unknown ha detto...

Ho problemi con mia moglie che mi vuole far togliere i figli aiuto!

Anonimo ha detto...

Non sei l'unico, anzi, sembra che sei in ottima compagnia.
Prova a scrivere esaurientemente la tua storia
nei forum delle associazioni di padri separati, magari senza nomi e località (che non sono necessari)per privacy; ti risponderanno.
I recapiti li trovi con google cercando:
"genitori sotratti" oppure "associazione papà separati" oppure "papaseparati" oppure "figli negati"
c'è ne sono un esercito.
"pensavidiessersolo"?

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